venerdì 9 maggio 2025

L'UOMO SULLA LUNA: UN RACCONTO DAL "DARK WEB"!

a cura di Francesco Manetti

Dopo alcuni anni di silenzio riattivo il mio vecchio blog "Ultimo Istante" per presentarvi un singolare racconto che ho trovato casualmente scorrazzando nel "dark web". L'originale è in inglese, ma io l'ho tradotto in italiano cercando di non "tradire" troppo l'autore. Un autore anonimo che sicuramente non mi farà causa per aver pubblicato senza il suo permesso questa storia che fluttuava libera in un angolo buio della Rete. Si tratta di una buona prova di fantascienza lunare, con un pizzico di... "particolarità storica" che potrebbe far pensare a un testo perduto di Norman Spinrad... Non vi dico altro. Buona lettura! (f.m.) 





L'UOMO SULLA LUNA


Berlino, 1° maggio 1945

Si fanno strada a fatica in un corridoio scarsamente illuminato. Gole sempre più secche, arse. L’aria quasi non c’è: al suo posto un’insidiosa nebbiolina grigia che rende difficile la respirazione. Polvere di cemento, che si alza dalle macerie della struttura sovrastante, in gran parte sotterranea. L’impianto di ventilazione continua a funzionare perché i potenti gruppi elettrogeni a benzina marciano ancora, ma ben presto si fermeranno e allora quella ruvida sfarinatura sarà come veleno per i polmoni. Meglio accelerare il passo. I due uomini potrebbero anche essere amici, ma non lo sono. Si conoscono però da anni, si stimano, tanto che si danno del tu e il più giovane chiama l’altro “Lupo”, soprannome che solo pochi sono autorizzati a usare.

Il passaggio termina come era iniziato all’estremità opposta, con un portellone blindato, simile a quelli che proteggono i caveau delle banche. La combinazione a dieci cifre va inserita senza errori al primo tentativo, altrimenti si bloccherà e i due non potranno più lasciare lo stretto disimpegno, condannandosi a morire asfissiati. “Lupo”, sudando freddo, osserva attento il suo sodale mentre armeggia al combinatore, senza alcuna esitazione – il codice segreto è il suo numero di matricola dell’esercito – e la paratia si apre.


Mare della Tranquillità, 20 luglio 1969

L’astronauta americano scende dalla scaletta del modulo Aquila, poggia un piede sulla scintillante polvere scura e diventa il primo uomo sulla Luna. Pronuncia senza enfasi poche parole di prammatica, decise sulla Terra giorni prima durante l’ultima riunione operativa, e si guarda intorno, voltandosi goffamente nell’ingombrante tuta. Compie qualche breve balzo, saggiando la scarsa forza di gravità del satellite naturale. E poi si arresta, come congelato. Qualcosa non torna. A una distanza di 50 metri c’è un... “oggetto” che non dovrebbe essere lì. Non è una roccia dalla forma bizzarra, e nemmeno un illusione ottica o un gioco di ombre e prospettive. È qualcosa di chiaramente artificiale. Sembra fatto in acciaio. Argentato e lucente. Impossibile capire che cosa esattamente sia, addirittura percepirne la forma esatta, perché è un’impresa metterlo a fuoco, nonostante l’assenza totale di atmosfera. Sembra di osservare una trasmissione televisiva molto disturbata da potenti scariche elettrostatiche. Un “effetto neve” continuo rovina la visione. Talvolta l’oggetto scompare, per una frazione di secondo, poi ritorna, sempre fuori fase, sempre impreciso. E si può anche vederci attraverso. L’astronauta ha un compagno a bordo della piccola astronave posata sul suolo della Luna e quando anche questo scende sulla superficie i due cominciano a scattare foto al misterioso manufatto.


Mare della Tranquillità, data imprecisata

Sotto la volta dell’installazione internazionale nota come Castadiva non c’era mai stata così tanta animazione. Un continuo via vai di professori, militari, inservienti, tecnici. Il nervosismo è palpabile.

«Dovrebbe dunque stabilizzarsi oggi?», chiede Hans al suo collega, il gigantesco Marcus. Non è una gran cosa essere come addetti alle pulizie, ma l’incarico è ben pagato e si ottengono anche ottimi punteggi sul curriculum dell’Astroforza. I due si occupano di lustrare i vetri della bolla centrale, il cuore della cupola di Castadiva, vetri spessi 100 mm che devono essere sempre tenuti al massimo grado di trasparenza per poter tenere in osservazione costante l’Oggetto. In realtà nessuno vedrà mai Hans e Marcus maneggiare direttamente spazzole e detergenti come semplici operai, altrimenti non avrebbero mai lasciato la Terra per lo spazio. I due giovani sono brillanti ingegneri elettronici, fra i migliori della loro generazione. Il loro compito sulla Luna è quello di controllare, guidare ed eventualmente riparare i droidi lavavetri che loro stessi hanno progettato. E non si occupano solo di quelli: tutta l’automazione “di servizio” della Cupola è di loro competenza. Luci, supporto vitale, nastri trasportatori, comunicazioni. Però gli altri scienziati – i medici, gli informatici, i fisici, i matematici – li guardano dall’alto in basso. Anche il mondo dei geni ha le sue caste.

«A quanto pare sì… secondo i calcoli la distorsione dell’Oggetto si sta ormai riducendo a zero. Saperlo mi è costato tre biglietti del cinema».

«Uhm… il cinema. Credo che quella di Castadiva sia l’ultima sala proiezioni esistente nel sistema solare, ormai, tenuta in piedi da nerd per altri nerd. Beh, adesso vedremo se ne valeva la pena… tutti quei miliardi e gli sforzi sovrumani spesi nei decenni dalle Nazioni Unite per montare questa baracca con un unico obiettivo, intendo dire».


Washington, La Casa Bianca, 10 febbraio 1970

«Ripeto che non è possibile! Grazie ai nostri agenti sappiamo che i Russi conservano i suoi resti carbonizzati in una scatola di metallo nei sotterranei della Lubjanka! Poco più che cenere e frammenti di ossa. Da un quarto di secolo! Capisci?»

Il Presidente è infuriato, rosso in volto, e sbatte con violenza sulla scrivania le foto che un alto ufficiale gli ha appena portato dal Pentagono. Il generale a quattro stelle al quale si rivolge fa una smorfia e un gesto con la mano destra, come per dire al suo interlocutore di calmarsi. I due sono in confidenza da anni.

«Capisco benissimo, Dick, non ci credevo nemmeno io, all’inizio. Ero sicuro che i comunisti avessero trovato il modo di menarci ancora una volta per il naso come a Cuba. Oggi fanno trucchi cinematografici impensabili fino a 5 anni fa. Guarda quel regista mezzo inglese col suo film! Ma ormai restano ben pochi dubbi. Sono mesi che lavoriamo sulle immagini dello scorso luglio, e poi su quelle che abbiamo fatto appositamente scattare a novembre, in aggiunta ad alcune riprese girate con le telecamere. Abbiamo coinvolto la CIA, tutti i migliori laboratori del Paese, civili e militari. Queste inquadrature sono state persino analizzate dai cervelloni di Groom Lake, che ne hanno viste di tutti i colori. L’identità dei personaggi che si affacciano ai finestrini dell’Oggetto pare accertata senza possibilità di errore».

«Doppiamente impossibile! Come fanno quei due… cadaveri a essere finiti sulla Luna, a bordo di… un qualcosa che non è nemmeno reale?»

«Per essere reale lo è, altrimenti non impressionerebbe le pellicole. Però, hai ragione, se intendevi dire che è intangibile. Corpi solidi, come hanno verificato gli astronauti a novembre, attraversano l’oggetto senza difficoltà apparente. E in parte lo fa anche la luce. Per questo ha un così basso grado di opacità. Sfrutteremo la missione di aprile per avvicinarci maggiormente all’Oggetto e tentare un approccio definitivo… più radicale».

«In che senso… radicale?»

«Gli astronauti dell’Apollo 13 porteranno sulla Luna un bel po’ di esplosivo. Il buon vecchio C4!»


Berlino, 2 maggio 1945

Nella camera cilindrica protetta dalla porta blindata regnano il buio e il silenzio assoluti. Fino a poche ore prima cavi elettrici mozzati sibilavano come serpenti e sprizzavano scintille. Tubi di gomma tagliati a metà gocciolavano ossigeno liquido e miscele oleose. Ma poi i generatori si sono spenti e tutto si è arrestato. Per sempre.


Mare della Tranquillità, 3 giugno 1973

Il rover si avvicina lentamente all’Oggetto. Gli astronauti che manovrano in coppia quella specie di scheletrica “dune buggy” ufficialmente non sono sulla Luna, e anche per i loro stessi familiari stanno severamente addestrandosi a Houston per una futura missione Skylab e non possono avere contatti con nessuno all’esterno. L’automobile lunare monta un potente magnetron e un’antenna parabolica per la guida d’onda: lo scopo è quello di emettere un fascio di microonde in grado di interferire con l’Oggetto ed eventualmente distruggerlo. Adesso i volti dei due passeggeri sono chiaramente riconoscibili attraverso gli oblò dell’Oggetto. Gli astronauti hanno un sussulto: stanno osservando l’incredibile. Il “rasoio” di Occam, le riflessioni di Sherlock Holmes sull’impossibile e l’improbabile sono andate entrambe a farsi benedire. Questa è realtà! Il magnetron viene attivato ma l’Oggetto sembra insensibile alle radiazioni e le respinge come uno specchio ustorio farebbe con i raggi solari. Gli astronauti cominciano a sussultare come marionette impazzite: le microonde fanno ribollire dall’interno i loro liquidi corporei finché dentro le tute ermetiche avviene una silenziosa esplosione. I visori dei caschi si macchiano di rosso. Il rover senza più alcuna guida prosegue e attraversa l’Oggetto, andando poi a schiantarsi contro una roccia. La segretissima missione Apollo 18 termina qui.


Sopra il Mare della Tranquillità, 11 aprile 2019

Beresheet, il modulo robotizzato senza equipaggio umano progettato e costruito in Israele, ha appena inquadrato dall’alto l’Oggetto. Nella sala controllo di Yehud un brivido di terrore scuote i tecnici aerospaziali dello stato ebraico, alcuni dei quali indossano la kippah e pregano. Il governo di Tel Aviv vuole tentare di distruggere l’Oggetto con un sistema che nessuna altra missione segreta NASA ed ESA ha mai finora provato. All’interno del Beresheet non ci sono soltanto estratti della Torah, il diario di un sopravvissuto ai campi di concentramento ed altri ricordi dall’alto valore simbolico, politico e religioso: nel cuore del modulo si cela la più avanzata bomba a impulso elettromagnetico che sia mai stata concepita. Lo scopo è quello di stabilizzare il veicolo e far morire per asfissia i suoi occupanti. Ma un guasto ai motori porta il lander lontano dal suo obiettivo e invece di compiere un atterraggio morbido nei pressi dell’Oggetto il Beresheet finisce in mille pezzi ad alcuni chilometri di distanza dall’obiettivo, distruggendo tutto il suo carico di storia, di misticismo e di scienza.



Roma, in uno scantinato dell’Esquilino, 20 luglio 2039

«Hai visto che roba, Luigi? Cosa volevano fare con Baffetto, riportarlo in vita?»

«Beh, a quanto pare non è mai morto, se è vero quanto c’è scritto in questa... enciclopedia di dati, carissimo Mario. L’idea era quella di far saltare in aria l’Oggetto, o qualcosa del genere, per annientare i suoi imbarazzanti passeggeri. Ci lavorano sopra dai tempi del primo allunaggio ma non sono mai riusciti a fare niente di concreto. Persino la storia dell’Apollo 13, come ce l’hanno raccontata in mille salse, anche al cinema, non è quella vera. Ci sono stati feriti, morti, disastri… migliaia di miliardi gettati al vento. Quasi che su quell’apparecchio pendesse una maledizione, come sulla tomba di Tutankhamon...»

«Beh, comunque sia, oggi ricorre l’anniversario del primo uomo sulla Luna e d’ora in poi ci saranno più persone a riflettere sul problema», e Mario preme “invio”.

Quello che per settanta anni era stato mantenuto segreto dai governi, dalle istituzioni militari e dalla comunità scientifica, e da chiunque altro a qualsiasi titolo fosse stato coinvolto nello studio e nell’eliminazione dell’Oggetto, divenne in un nanosecondo di pubblico dominio quando un gruppetto anarchico di giornalisti digitali della Città Capitolina, poco prima che la polizia facesse irruzione nel loro covo facendo saltare loro le cervella, riversò nella Rete tutte le informazioni disponibili sul caso dopo averle trovate in una banca dati nascosta, considerata “inespugnabile”. Fino a quel momento.


Parigi, Rue Mario Nikis, 1° maggio 2045

«Si sta stabilizzando!», grida il tecnico entrando di corsa nella sala riunioni della sede centrale ESA sventolando un cellulare acceso. Il direttore dell’agenzia spaziale europea balza in piedi per primo come proiettato da una molla. Gli altri subito lo imitano.

«Vuoi dire proprio in questo momento?»

«No, no… adesso, rispetto alle immagini scattate nel 1969 e negli anni successivi, abbiamo finalmente rilevato un lieve aumento del grado di opacità e una ancora più lieve diminuzione dei disturbi. Secondo i calcoli, se il processo non accelera, ma niente indica che avverrà, ci vorranno almeno altri 200 anni per avere l’Oggetto stabile e solido sulla Luna».

«Due secoli! All’epoca saranno già state costruite le basi lunari! Ci penseranno loro», dice il direttore, rimettendosi stancamente a sedere.


Mare della Tranquillità, data imprecisata

«Mi vuoi spiegare perché hai costretto anche me a indossare la tuta per le operazioni sulla superficie esterna, Marcus?».

Il gigantesco genio dei droidi di servizio, che nelle sue ricerche è sempre un passo avanti all’altrettanto geniale Hans, sta lavorando a un intrico di cavi, dopo aver scoperchiato un pannello vicino alla porta della camera stagna. Oltre quella soglia c’è la Bolla interna alla cupola, costruita tutta intorno all’Oggetto. Dentro la Bolla c’è il vuoto, esattamente come se quella piccola porzione di Mare della Tranquillità fosse ancora allo scoperto sulla superficie lunare.

«Il mio solito informatore, l’impenitente cinefilo, mi ha detto che i capi hanno l’intenzione di accogliere la stabilizzazione finale dell’Oggetto in condizioni di atmosfera zero. A loro interessa solo il veicolo. Vogliono studiarlo dopo essersi disfatti dei viaggiatori. Dunque sto pressurizzando la Bolla.»

«Sì, ma non hai risposto alla mia domanda sulle tute».

«Perché, nello stesso tempo, ho immesso nel circuito di aerazione della Cupola una buona quantità di protossido di azoto».

«Protossido… Intendi dire il gas esilarante, quello che usano in infermeria? Vuoi addormentare tutta la base! Una volta che si sveglieranno guarderanno le registrazioni e ci metteranno agli arresti, prima di rispedirci in catene sulla Terra!».

«Di questo non ti devi preoccupare perché ho programmato i nostri droidi per mettere temporaneamente fuori servizio le telecamere invece di lucidarne le lenti.»

«Che senso ha?»

«Non è quel singolo uomo, ma la Storia che vogliono mettere a tacere, e questo non posso accettarlo. E, a proposito, com’è il tuo tedesco, Hans?».


All’interno dell’Oggetto, data imprecisata

«Non funziona! Von Braun è un asso con i razzi ma ha miseramente fallito con il motore vril che avrebbe dovuto muovere questa… Come l’hanno chiamata i ricercatori dell’Ahnenerbe? Campana, sì. Questa Campana temo che diverrà la nostra tomba, mio fedele Martin.»

«Aspetta, Lupo! Ci siamo mossi! Guarda: adesso il panorama esterno è cambiato!»

«Vedo… ma non mi sembra la Cancelleria del 1936. Siamo in una sorta di… vasca per i pesci sferica! Siamo forse finiti in un acquario? No, aspetta! Si sta aprendo una porta… arriva gente! E non sembrano umani! Sembrano saltati fuori da una di quelle pellicole americane sui marziani! Mano alle Walther!»


Mare della Tranquillità, data imprecisata

Hans e Marcus entrano nella Bolla e si tolgono il casco perché dove sono adesso l’aria è perfettamente respirabile. Si dirigono verso l’Oggetto che ha una forma curiosa e potrebbe ricordare, anche per il suo aspetto di estrema solidità con le sue lastre di lucido acciaio imbullonato, il prototipo di un antico batiscafo. Il portellone della Campana si apre grazie a un comando idraulico e si sprigiona un vapore azzurrognolo. I due viaggiatori mettono il piede sul suolo lunare e puntano le armi.

«Benvenuti sulla Luna!», esordisce Hans, parlando in tedesco, la sua lingua madre, anche se sotto la Cupola non ha alcuna occasione per usarla. Intanto Marcus scatta foto ed esegue brevi riprese con il suo dispositivo portatile, una sottile lamina plastica iridescente che funziona da comunicatore, computer e terminale della Rete. Le testimonianze di quell’incontro avranno un valore storico inestimabile.

«Mi fa piacere che lei si esprima nella mia lingua, ma non mi prenda in giro, ragazzo!», sbotta “Lupo”. «Com’è possibile che siamo finiti sulla Luna? Ci ha presi per Giulio Verne? O per Giorgio Méliés?»

«No, credetemi, so benissimo chi siete! Immaginate forse di essere ancora a Berlino nel 1945?»

«In realtà speravamo di essere nel 1936… Come fa lei a sapere che siamo partiti da Berlino, e proprio in quell’anno?»

«Perché tutti i libri di storia dicono che nel maggio del 1945 siete morti.»

«Beh, a quanto pare la notizia della nostra morte era leggermente esagerata», commenta Martin.

«Certo, ma se non tornate subito nel luogo da dove siete venuti morirete oggi, sulla Luna, trecento anni dopo il vostro tempo», si inserisce Marcus, con timbro un po’ meccanico, parlando attraverso il traduttore simultaneo del suo portatile. Avrebbe preferito non usare quella voce così fredda, ma il tedesco lui non lo conosce, «Il vostro veicolo è rimasto fuori fase, incorporeo e instabile, per secoli, anche se per voi immagino che il viaggio sia stato istantaneo.»

«Esatto, ragazzo! Siamo appena partiti.»

«Stanno cercando di fermarvi e di farvi fuori una volta per tutte, da sempre: americani, russi, israeliani, indiani, cinesi, europei… Tutti quelli che sono riusciti a scendere sulla Luna hanno provato a bloccare questo apparecchio per poi togliervi di mezzo. Ancora adesso, per quello che avete fatto dal 1939 in poi, siete sul libro nero di tutte le nazioni!»

«Uhm… Capisco, ma, come lei avrà notato, visto che siamo sulla Luna nel futuro, e non in Germania nel passato, significa che questa dannata Campana è difettosa»

«Lei chiama questo veicolo... Campana? Vuole dire Die Glocke, la mitica arma miracolosa che avrebbe dovuto ribaltare le sorti del secondo conflitto mondiale? Esisteva, dunque, ed era una… macchina del tempo! Si è detto che fosse opera di Von Braun…»

«Sì, proprio Von Braun!»

«Quel furbacchione! Non ne ha mai fatto parola, né con quelli dell’Operazione Paperclip, né durante tutto il programma Apollo!»

«Lei sa molte cose su di noi. A quanto pare la storia e il mondo ci hanno condannati, ma non ci hanno dimenticati...», sospira “Lupo”.

«Ma… cosa sono l’Operazione Paperclip e il programma Apollo?», domanda Martin.


All’interno dell’Oggetto, data imprecisata

I quattro uomini sono adesso all’interno della Campana. Marcus osserva il rudimentale pannello dei comandi. Al pilota occorre solo selezionare una data manovrando semplici ingranaggi di quello che sembra una specie di calendario perpetuo e poi tirare una leva per azionare il marchingegno. Anche un bambino potrebbe usare questo veicolo!

«Immagino che sappiate che non basta una data per muoversi nel tempo. Occorre anche avere le esatte coordinate spaziali. La Terra si sposta insieme al Sole su distanze enormi in tempi rapidissimi...», sentenzia Marcus.

«Certo! Von Braun aveva previsto anche questo: la macchina calcola tutto in automatico grazie a una serie di circuiti elettrici in serie che sono posti sotto i controlli di viaggio.», risponde Martin.

«Il guasto deve essere lì, nell’impianto di questa specie di rudimentale computer elettrico… che funziona grazie a un semplice motore a combustione interna, se non sbaglio. Questo tanfo pazzesco che si sente qua dentro dovrebbe essere benzina! Ma come fa il vostro apparecchio a muoversi nel tempo? Von Braun aveva anche trovato il modo di imbrigliare i tachioni? O si tratta di gravitoni?»

«Tachioni? Gravitoni? Non ho la minima idea di cosa siano, ragazzo! E a quanto pare non sapete ogni cosa di noi, dopotutto… No, la Campana funziona grazie al vril, una forma di energia mistica che abbiamo scoperto in Tibet nel 1938, grazie a una spedizione dell’Ahnenerbe, volta alla ricerca delle nostre più antiche origini!», si vanta “Lupo”.

«Die Glocke, il vril, l’Ahnenerbe… accidenti! Siamo finiti in un libro di Pauwels e Bergier!»

«E chi sono, altre particelle elementari?», chiede sottovoce Hans.

La domanda rimane senza risposta. Dallo zaino che portava in spalla Marcus estrae una piccola sfera argentata e la fa aderire magneticamente sulla plancia metallica della Campana.

«Cosa stai facendo, ragazzo?», chiede “Lupo”.

«Vi sto salvando. E magari sarebbe anche il momento di abbassare le pistole, per favore. Begli esemplari, ma preferisco ammirarli in un museo piuttosto che vedermeli puntati contro».

Dalla sfera lucente escono migliaia di sottili filamenti che si insinuano in ogni minima fessura della plancia.

«Non rimuovete nella maniera più assoluta questo apparato dal pannello dei comandi. Impostate la data che desiderate e lei correggerà gli errori di calcolo delle coordinate spazio-temporali durante il vostro viaggio di ritorno».

«Venite con noi», dice “Lupo”. «Le vostre conoscenze scientifiche e la vostra esperienza degli anni a venire ci sarebbero utili per il nostro Progetto. Non verranno commessi di nuovo gli stessi errori che abbiamo fatto dopo il 1940!».

«Non se ne parla, grazie. E anche Hans la pensa così, vero?». Hans annuisce.


Mare della Tranquillità, data imprecisata

Marcus e Hans escono dalla Campana e osservano chiudersi il portello dell’incredibile apparecchiatura venuta dal passato. Agli oblò si affacciano i due stessi volti che per trecento anni avevano inquietato l’intera umanità.

«Abbiamo fatto la cosa giusta, Marcus? Quei due, tra poco, inizieranno a cambiare il corso della storia! E chissà quali saranno gli effetti».

«Avranno un’altra opportunità. Ma a noi non succederà niente perché tornando indietro creeranno una nuova linea temporale assolutamente diversa da quella in cui stiamo vivendo noi».

Una vibrazione scuote il suolo lunare della Bolla. La campana perde coerenza per un attimo, emette un campo di energia di colore verde che avvolge per un decimo di secondo i due giovani e scompare.

«Sarà meglio rimettersi il casco, Marcus! Svelto!»

«Ma perché? L’aria sarà ancora perfettamente respirabile fino quando non torneremo nella Cupola e ripristineremo lo stato di atmosfera zero.»

«Fai come ti dico! Non vedi? La Bolla sta andando fuori fase esattamente come la Campana fino a ieri!»


Mare della Tranquillità, un altro tempo

Marcus fa appena in tempo ad agganciare il casco che la Bolla e tutta la Cupola svaniscono come se non fossero mai esistite.

«Cosa diavolo è successo?», grida Marcus.

«A me lo chiedi? Sei tu il genio della situazione: dovresti saperlo tu!»

Per un attimo piomba sui due un silenzio di tomba.

«Ma certo! Siamo stati… No, sono stato un’idiota! Quando la Campana è partita ha emesso un campo di energia che ci ha per un po’ trascinati insieme a lei!»

«Come… trascinati? Allora perché non siamo a Berlino nel XX secolo?»

«Perché eravamo fuori dal veicolo. Abbiamo subito un effetto ridotto del vril… comunque diavolo funzioni!»

«Chissà dove… anzi, quando siamo… È sparito tutto!»

«Non tutto. Guarda laggiù!»

A 50 metri di distanza dal punto in cui si trovava la Bolla luccica qualcosa. Una familiare struttura metallica.

«È il LEM dell’Apollo 11! Prima era conservato sotto la Cupola, in una sala museo che gli era stata costruita intorno. Ci siamo stati mille volte anche noi a visitarlo. C’è anche la famosa targa firmata dai tre astronauti e da Nixon»

In pochi balzi i due raggiungono il sito del primo allunaggio. E vedono.

«Ecco fatto! Lo sapevo!», grida Hans nell’intercom, facendo fischiare le orecchie di Marcus. «Fra poche ore finirà l’ossigeno delle tute e moriremo qui, soli come cani, i due più grandi criminali della storia!»

Una voce in tedesco risuona all’improvviso nei caschi di Hans e Marcus.

«Non siete criminali, ragazzi! Siete i nostri più grandi eroi! Bentornati dal vostro lunghissimo viaggio nel tempo, esattamente nel bicentenario dell’allunaggio! Qui Haunebu 1889: veniamo a recuperarvi. Berlino vi aspetta per i festeggiamenti!»

Una navicella spaziale dalla forma circolare scende giù ad alta velocità dal cielo nero come la pece e atterra silenziosamente sul suolo polveroso della Luna. Sulla superficie del veicolo è apposto l’antico emblema della Germania Nazionalsocialista, la bandiera rossa con il cerchio bianco e la svastica nera al centro. Un portello si apre e due figure che indossano tute spaziali di foggia militare escono e si dirigono verso Hans e Marcus imbracciando quelli che sembrano fucili a raggi.

All’ombra del modulo lunare, prima di essere scortati sul disco volante, i due si voltano e leggono ancora una volta la targa commemorativa, scritta in tedesco:


QUI UOMINI DEL PIANETA TERRA MISERO PER LA PRIMA VOLTA PIEDE SULLA LUNA – LUGLIO 1969 A.D. – VENIAMO IN PACE PER TUTTA L’UMANITÀ – MARTIN BORMANN, CANCELLIERE DEL REICH – ADOLF HITLER, PRESIDENTE DEL REICH


Fine




giovedì 4 marzo 2021

I FUMETTI DELLA FOGNA - 5a PARTE (1979/1980)

 di Francesco Manetti


ATTENZIONE!
Questa quinta parte è l'ultima della mia personale cronologia dei "fumetti della fogna" che verrà pubblicata su "Ultimo istante". La parte conclusiva - quella che si doveva occupare degli ultimi sei numeri della "Voce della Fogna" - potrà essere unicamente letta sul libro "Fumetti e acciaio" (in corso di pubblicazione per i tipi di Amazon), dove la suddetta cronologia apparirà nella sua veste corretta, integrata, completa e definitiva. (f.m.)


Manifesto anti-americano del GUD francese, con il Rat Noir di Jack Marchal


"LA VOCE DELLA FOGNA" E I SUOI FUMETTI - nn. 21/25 - 1979/1980


Per nove anni, fra il dicembre del 1974 e il novembre del 1983, venne pubblicata a Firenze da Marco Tarchi e da un gruppo di suoi giovani collaboratori una fanzine politico-goliardica che fu provocatoriamente battezzata “La Voce della Fogna – giornale differente”, con l'ovvio riferimento polemico allo slogan antagonista che andava di moda allora e che recitava - cantilenato nelle piazze e nei cortei o stampato su manifesti, cartelli e tazebao - Fascisti, carogne, tornate nelle fogne. In tutto uscirono 31 numeri in bianco-e-nero, spillati e con foliazione e periodicità varia, dove gli interventi seri di riflessione ideologica (che facevano riferimento alla corrente europea della Nuova Destra) si alternavano a recensioni librarie, cinematografiche, televisive e musicali, alle rassegne-stampa, a racconti allegorici sulla situazione sociale italiana, a saggistica varia, a tanta satira di costume e politica. E c'era anche tanto fumetto alternativo "di destra", di produzione italiana oppure in traduzione, soprattutto da riviste francesi e belghe. Il Ratto Nero che appare sulla cover del n. 1, intento a uscire dalle fogne, ideato dal fumettista e cantautore transalpino Jack Marchal, diventa la mascotte della rivista - tanto era importante il fumetto per i suoi curatori.
Sul giornale “La Voce della Fogna” si è detto e scritto tanto, nei decenni, in programmi e pubblicazione di ogni riferimento politico; la "destra ufficiale" del MSI di Almirante ha guardato spesso con sospetto alla rivista guidata dal Tarchi; alcune copie (o la loro riproduzione scenica) appaiono persino in una sequenza del film Sangue sparso (Emma Moriconi, 2014), che racconta la strage di Acca Larentia (gennaio 1978) vista da destra.


Jack Marchal, uno dei massimi fumettisti della "Voce della Fogna"



Lo stesso ideatore/direttore/capo è ritornato più volte sull'argomento, in interviste scritte (come quella rilasciata a Nicola Rao nel 2008, per il libro "Il sangue e la celtica" della Sperling & Kupfer) e filmate (come nel documentario "Nero è bello", curato da Giampiero Mughini e trasmesso da RAIDUE nel 1980) e soprattutto nelle introduzioni e nelle note alle due ristampe complete della serie – la prima uscita nel 1991 (copertina rossa, esauritissima e introvabile) e la seconda datata 2019 (copertina nera, delle Edizioni La Vela di Viareggio), dove Tarchi rivela anche molti dei veri volti che all'epoca si celavano dietro pittoreschi pseudonimi.
L'omnibus del 2019 è proprio quello su cui ci siamo basati per stilare la nostra "cronologia ragionata" in sei puntate (questa è la quinta) e per trarre parte delle illustrazioni del corredo iconografico (qui usate con l'unico intento di documentare visivamente e far meglio comprendere le nostre parole). 
La nostra “cronologia ragionata” si occupa quasi esclusivamente dell'aspetto fumettistico del periodico, non tralasciando di menzionare quanto fu scritto sulla "Voce della fogna" a proposito del cinema e della letteratura "di genere" (soprattutto fantascienza e fantasy): è quello infatti che a noi compete, è quello di cui ci siamo sempre occupati fin dal 1988, a partire dalle colonne della fanzine "Collezionare".
Sul foglio fiorentino il testo scritto, il “piombo”, lasciava infatti spesso il campo al fumetto e alla vignetta (o alla striscia) umoristica di stampo “classico”. Del resto, proprio nella già citata intervista televisiva del dicembre 1980, Marco Tarchi, seduto con Giampiero Mughini nello storico Caffé Rivoire di Piazza della Signoria a Firenze, con le copie della VDF (erano usciti fino ad allora 25 numeri) sparpagliate sul tavolino, diceva riguardo all'importanza del “linguaggio fumetto”:

Fin dal primo numero noi cominciammo a pubblicare delle pagine di fumetti, perché riteniamo che abbiano una portata immediata nella comprensione di certi messaggi nei confronti del mondo giovanile.


n. 21 - novembre 1979 ("Gramsci mi è stato utilissimo")

Ultimo numero degli anni '70. Copertina di Jack Marchal, davvero strepitosa, anche come costruzione artistica, quasi "futurista": sullo sfondo di una pagina di giornale che parla di Alain de Benoist e del suo progetto "gramsciano" di egemonia culturale per la Nuova Destra appare un dubbioso Enrico Berlinguer, segretario del PCI. Il fatto che il vecchio sardo Gramsci sia stato utilissimo a De Benoist e alla Nuova Destra conferma al sardo più giovane che di "quel tipo non ci si doveva fidare", proprio come gli aveva detto Togliatti, del quale fu pupillo.


Copertina del n. 21, novembre 1979. Disegno di Marchal



Da notare che il n. 21 esce quasi un anno dopo il n. 20 e che questa è l'unica comparsata della "Voce della Fogna" in tutto il 1979. Il mistero di questa "sparizione" della rivista per 11 mesi di fila viene rivelato nell'interno, e non ha a che fare con attentati o altro: il "kapo" (ovvero Tarchi) era impegnato nel servizio militare! E infatti, firmandosi Miles Gloriosus, stila un divertentissimo pezzo intitolato Avanti... marsch! sulla naja vista da destra.
Dissacrante e spassosissima la striscia intitolata Gli alleati firmata Marchal! Papa Giovanni Paolo II, il polacco Karol Wojtyla salito al soglio pontificio nel 1978 dopo la morte di Luciani, chiede a una bambina che cosa vuol fare da grande; quando la ragazzina gli dice "la prostituta", il papa si scandalizza; ma era un fraintendimento perché il Vescovo di Roma aveva capito "protestante"! Vista l'origine d'Oltralpe della striscia notiamo che la battuta regge benissimo in italiano come in francese.
La tavola autoconclusiva Sogni d'Oriente non è firmata ma, a vedere dallo stile, sembra doversi ricondurre al francese Rémi; siamo nell'Iran della rivoluzione socialista e islamica e la città è tappezzata di manifesti con il faccione di Khomeini; un gruppo di "compagni europei" va in visita nel Paese; tra questi c'è una donna che nel vedere come sono trattate le sue omologhe si mette a piangere.


Cover di un disco di Michele di Fiò, con foto dell'artista

Con un tratto molto simile a quello di Andrea Pazienza - all'epoca colonna di "Cannibale" e del "Male", nato nel 1956 a San Benedetto del Tronto nelle Marche - ecco una divertente auto-pubblicità del cantante e disegnatore Michele Di Fiò, pure lui marchigiano classe 1956; era appena uscito il suo secondo LP, Cervello. Di Fiò, il cui vero cognome era Logiurato, scomparve prematuramente nel settembre 2013. "Il Secolo" ne fece un'ottimo ritratto, che qui riportiamo integralmente:

Adesso Michele saprà cosa c’è ad un passo dal cielo, come cantava nelle sue canzoni. Michele Di Fiò, cantautore che ha accompagnato la generazione ribelle della destra negli anni Settanta, ci ha lasciati sabato. Era nato il 7 aprile (e proprio “Aprile” si chiama una delle sue più belle canzoni) del 1956. Era di San Costanzo in provincia di Pesaro. Il suo cognome era Logiurato, ma aveva scelto il nome d’arte di Di Fiò in omaggio alla moglie che si chiama Fiorenza. Professionalmente aveva iniziato la sua attività verso il 1973, suonando nei piano-bar e nei locali. Fu uno dei primi cantautori alternativi solisti di destra. Iniziò a farsi conoscere, fece provini alla Rca, ma pur essendo bravo e dotato di talento, Michele aveva un grosso handicap: quello di non appartenere alla parte politica “giusta” per fare carriera. Sì, perché come molti altri suoi colleghi dell’epoca, da Fabrizio Marzi alla Compagnia dell’Anello, dagli Amici del Vento agli Zpm, Michele Di Fiò era uno di quelli che, se non fossero stati “fascisti”, sarebbero diventati famosi. Insomma, penalizzati dalla fede. Ma lui non ne voleva sapere, e come dichiarò in un’intervista, era contento che le sue canzoni avessero fatto da colonna sonora a una generazione di “cuori neri” suoi coetanei. Non si mise d’accordo con la Rca per non dover modificare le sue canzoni e sottoporsi alle leggi omologanti del consumismo. Tentò di fare da solo, fondando una casa discografica ed editrice, La Mosca bianca, che ebbe per alcuni anni un certo successo nell’ambiente dei giovani missini. Ma prima, nel 1977, dopo essere andato al Campo Hobbit I, esce la sua prima raccolta autoprodotta, “Seveso e no”, dove oltre ai temi politici si affrontano anche quelli ambientali o semplicemente esistenziali. Nel 1978 esce il suo Lp “Ad un passo dal cielo c’è…”, e nel 1979 “Cervello”, per molti il suo Lp più convincente, con il quale arriva ai primi posti nella speciale classifica della manifestazione “Centocittà”, organizzata da moltissime radio libere italiane. E questo era un successo di cui Michele andava molto fiero, poiché si confrontava con cantautori “normali” e commerciali. Con il suo 45 giri “Rock” inaugura “La Mosca bianca”, del 1980. Il retro era la stupenda “Italia”, il brano che Michele volle dedicare ad Alberto Giaquinto e alla sua storia: “… le auto bruciate e le mani, una piazza sepolta da mille bandiere… oggi è morto un fratello, domani saremo più forti”. Nel 1981 l’ultimo Lp, “Cavalcare la tigre”, che ebbe ugualmente un grande successo, sia pure “underground”, ossia limitato all’ambiente dei giovani del Fronte della Gioventù. Il suo stile era melodico ma nello stesso tempo arrabbiato, era molto bravo con la chitarra, affrontava non solo temi strettamente politici ma nelle sue ballate parlava di amore, di aborto, di società, di femminismo, di emigrazione, di decadenza del sistema (“è la tua condanna a morte, cara vecchia società…”) ma soprattutto di speranza. Il suo più grande cruccio, come ci racconta Fabrizio Marzi, che lo conosceva bene, fu sempre quello di essere stato lasciato solo dalle strutture del partito, l’allora Msi, i cui dirigenti non ebbero la lungimiranza per capire di quale utilità sarebbe stata la creazione di un circuito musicale giovanile alternativo, con tanto di casa discografica, riviste e quant’altro. Chi lo capì, ma non fu ugualmente ascoltato, fu Teodoro Buontempo, che con la sua Radio Alternativa causò un epocale cambiamento nel costume giovanile missino e che, se appoggiato convenientemente dal partito, avrebbe cambiato anche l’incidenza dei missini nella società. Ma, come dice Michele, è veramente difficile cavalcare la tigre…

Il disco Cervello di Michele di Fiò

“Era un poeta, un ragazzo pieno di iniziative di idee”, dice ancora Fabrizio Marzi: “Lo conobbi ad Acireale, a uno spettacolo che facemmo al teatro Maugeri, rimasi colpito dalla sua determinazione e dal suo entusiasmo…”. “Ci siamo sempre sentiti – ricorda ancora l’autore di “Zoo” – , ma lo rividi nel 1995, alla festa nazionale del Secolo d’Italia a Rieti, a un interessante convegno sulla musica alternativa. Lui comunque era estremamente deluso da tutto il nostro mondo politico…”. Nel 2007 Michele Di Fiò in un’intervista, fece una lucida e forse profetica analisi su gran parte del mondo post missino: “Politicamente la sinistra ha sempre aiutato, promosso e pagato artisti della loro area; per quanto riguarda la destra è stato solo un problema di soldi o per non esporsi, o per che cosa? La Destra (…) non è abituata alle grandi cose, salta fuori solo al momento opportuno quando c’è qualcosa da prendere. Qualcuno pensa ancora che la maggioranza di questi sta su quel carro per la Fede? No, c’è sempre, sempre un tornaconto, basta cercare e lo si trova. Per questo è importante essere liberi, non essere costretti”. Di questa sua autentica rabbia restano oggi le sue canzoni, i suoi versi, la sua sensibilità che arricchirono la musica alternativa accompagnando nei suoi sogni la generazione degli anni di piombo. Viveva in campagna, con la sua adorata famiglia, la moglie Fiorenza e le sue figlie Valentina e Debora, diceva di non rimpiangere nulla e di aver avuto una vita felice. “Posso dire che nella vita ho fatto esattamente ciò che ho voluto, non ho mai timbrato cartellini e non sono mai stato a busta paga di nessuno. Penso di avere vissuto una esistenza libera e senza condizionamenti”, disse nell’intervista citata. Se a lui è rimasta la rabbia di non aver avuto abbastanza da un certo mondo politico, è vero però che quella comunità umana alla quale lui apparteneva ha avuto moltissimo da lui, e lo ringraziamo con le parole della sua canzone forse più bella, “Italia”: “Il tuo ultimo bacio ed un ciao…”.

Torna "Il rammollito" di Rémi, con i suoi topastri bianchi: uno di loro, per finanziare il movimento, vorrebbe lanciare una "falsa sottoscrizione per innalzare un monumento a... Adolfo e Benito". Il fatto che ci siano dei ratti nel fumetto di Rémi è una sorta di omaggio a "Les Rats Maudits", i Ratti Maledetti e Neri di Jack Marchal; nella versione originale il “rammollito” è “Le Rat Molli”, ovvero “il topo molliccio”, ma suona come “ramolli”, cioè “rammollito”, per l'appunto; "Le Rat Molli", inoltre, si pronuncia in francese quasi come "Les Rats Maudits" ("le ra-molì" e "le ra-modì"); a riprova della vicinanza culturale e artistica dei due vignettisti nel 2009 esce in Francia per i tipi di Auda Isarn il volume (oggi introvabile) Casques à cornes et manches de pioches, con la raccolta completa delle strisce di “Les Rats Maudits” e “L'Histoire de la civilisation” di Jack Marchal, di “La Bande à Balder” di Rémi e di “Auda” di Diocletien.


La raccolta francese dei maggiori fumetti della destra radicale


Una vignetta con il Ratto Nero di Marchal illustra "i misfatti della Nuova Destra": come azione di "biopolitica" il Nostro piscia dentro il Tevere!
Ancora Rémi con la tavola autoconclusiva La storia in controluce: Bumedien, dittatore dell'Algeria dal 1965 è in fin di vita all'ospedale e i dottori stanno discutendo se staccare o no la spina; forti sono in loro le remore religiose; ci penserà una donna delle pulizie, che proprio in quella presa doveva collegare il suo aspirapolvere. La tavola è del 1978: Bumedien morì infatti nel dicembre di quell'anno, dopo oltre un mese di coma.
Tomaselli mette in scena nella sua consueta colonna l'agente infiltrato con gli occhiali da sole, il contestatore di sinistra e il radicale di destra - che, nella battuta finale ("l'ultimo spenga la luce"), riporta un cliché della politica usato dai conservatori britannici negli anni settanta e poi rispolverato nel 1989 alla caduta del Muro di Berlino, e così via.
Di nuovo Rémi con "La banda Balder", versione italiana di "La Bande à Balder": l'accampamento dei "vichinghi" identitari europei è sotto attacco da parte dei "democratici"; si nota, in questa tavola datata aprile 1979, una certe evoluzione nello stile e un tratteggio più sicuro e raffinato rispetto alle pubblicazioni precedenti.
Nella rubrica "In ascolto" appare un'entusiastica recensione del numero doppio 5/6 (settembre 1979) di "Dimensione cosmica", prozine che sfoggiava tantissimi nomi della cultura legati in qualche modo al fantasy, alla fantascienza, alla tradizione e alla letteratura di genere in senso lato: Cardini, Pagetti, De Turris, Fusco, De Anna, Tarchi, Lippi, etc. Se ci consentite una civetteria personale, possiamo dire di averne conosciuti diversi, di questi straordinari nomi, e di uno di essi (Giuseppe Lippi), possiamo vantarci addirittura di essere stati amici (seppur per breve tempo)...

La striscia firmata Bardamu (Manlio Triggiani)



Chiude i fumetti del n. 21 una colonna firmata Bardamu, pseudonimo di Manlio Triggiani, con riferimento al protagonista del romanzo autobiografico Viaggio al termine della notte di Céline; e infatti il barbuto personaggio della striscia dice che Céline, Drieu, Spengler e Nietzsche erano tutti "comunisti a loro insaputa" e che qualcuno "avrebbe potuto almeno avvisarli"; è un'eco dell'egemonia culturale gramsciana, per cui la sinistra tende ad avocare tutto a sé, a maggior ragione quando si parla di cultura "alta"; Triggiani, classe 1955, dottore in giurisprudenza, è un noto giornalista a livello nazionale, esperto in favolistica e in letteratura di genere.


n. 22 - febbraio 1980 ("La sinistra perde l'egemonia intellettuale")

Primo numero degli anni '80, che vedranno purtroppo il diradarsi delle uscite e poi la fine della gloriosa rivista fiorentina; e anche al fumetto verrà purtroppo dato sempre meno spazio...
Copertina beffarda di Jack Marchal: la sinistra (incarnata in una scimmia) perde l'egemonia culturale, ma ritrova... l'autenticità; il quadrumane mancino si spulcia e si gratta allegramento seduto su un tomo, Che fare?; si tratta di un pamphlet politico scritto da Lenin agli inizi del XX secolo; la classe operaia russa, opportunamente guidata da rivoluzionari di professione importati dall'esterno, potrà compiere la rivoluzione tramite la formazione di un partito rivoluzionario.

Cover del n. 22, febbraio 1980. Disegno di Marchal



Nella sezione "Ciak" della rubrica "Quando sento parlare di kultura" appare la recensione del film d'animazione Il signore degli anelli, girato dall'allora quarantenne Ralph Bakshi nel 1978; si trattava del grande regista di Fritz il gatto, vate del cartooning alternativo; per problemi legati alla produzione il sequel del film non fu mai realizzato e infatti quello del 1978 copre solo il primo romanzo e metà del secondo della trilogia tolkieniana; la tecnica usata era quella classica del rotoscopio, usata fin dai tempi di Biancaneve, per cui attori in carne ed ossa venivano filmati e la pellicola veniva ricalcata a mano su acetati posti su lastre di vetro, per dare l'effetto di un cartone animato molto, molto realistico; vediamo adesso cosa ne pensavano i redattori della "Voce della Fogna":

Tolkien in mano a Bakshi, ovvero come farsi dei nemici. (...) Le spade si sono incrociate, fra i sostenitori dell'animazione e i delusi della mancata comprensione: val più un Aragorn ciociaro o un Cavaliere da Guerre Stellari? La goliardica ridda di tipacci di Brea o il disneysmo di Barbalbero? Eppoi che dire del dramma di accenti e pronunce, con Smigol ed Eokin e i sibili svaniti di Gollum? Pure, in un prodotto da business hollywoodiano, non tutto è da buttare. E per un Gandalf che da grigio si fa bianco senza commento alcuno, quanti spiragli di vita offerti a occasionali spettatori? Quanti ammiccamenti del fascino della saga dietro le mille smorfie umane del viso di un Frodo pur più ometto che Hobbit?

Il Signore degli Anelli di Bakshi, nel poster originale dell'epoca

Nella consueta tavola della serie "Il rammollito" di Rémi, i topastri bianchi discutono sul loro capo finito in galera per colpa di "un giudice compagno"; divertenti le allusioni alla Polonia e al Papa polacco.
La quarta parte di "Trama Nera" di Mister Misterius, che arriva dopo ben 14 mesi la pubblicazione della terza puntata (apparsa su n. 22 di fine 1978), viene spostata verso l'interno della rivista; ritornano i personaggi del Gruppo TNT bunkeriano - Alan Ford, Bob Rock e gli altri - usati come maschere per dissimulare i protagonisti della destra radicale ed extra-parlamentare degli anni '70.
Di altissimo livello la prima puntata in tre tavole del fumetto La via più breve verso il paradiso, firmato Prik, autore che si inserisce mirabilmente nella corrente della "linea chiara"; un giornalista di estrema sinistra dell'Europa occidentale, che nella versione italiana Ivan Piperno del quotidiano "Il nuovo mattino" (un'evidente parodia del giornalista e studioso Franco Piperno, uno dei fondatori di Potere Operaio), prende l'aereo per Berlino Est, con lo scopo di illustrare ai suoi lettori le delizie del paradiso socialista; troverà nella DDR una sorta di stato poliziesco, feroce ma grottesco, parodia comunista degli stati totalitari degli anni '30 e '40. Prik è lo pseudonimo di un fumettista belga di nazionalità fiamminga; i suoi lavori "militanti" sono apparsi prima su "Alarm", la rivista del Vlaamse Militanten Orde (VMO), e poi su "Haro".

Una tavola di Prik pubblicata sul periodico "Haro"

La consueta striscia in colonna di Tomaselli parla dei 600 detenuti politici nelle carceri italiane, citando un'affermazione di Cossiga, per cui in Italia non vi sarebbero detenuti "politici". A fianco, divisa in tre vignette, ecco una striscia di "Hagar l'orribile", il vichingo creato nel 1973 dal fumettista americano Dik Browne (1917 - 1989). Due pagine dopo compare un'altra striscia del Tomaselli: l'agente segreto parla del "dissenso fascista" e il contestatore della destra radicale dichiara che i camerati finiscono nei gulag.


n. 23 - giugno 1980 ("Il terzo mondo ha bisogno di voi")

Cadenza bimestrale ormai archiviata ed ultimo numero con l'indicazione in copertina del mese di uscita. La copertina di Jack Marchal raffigura un uomo comune che fa il "gesto dell'ombrello" al Terzo Mondo.
Curiose e divertenti (anche se un po' troppo artigianali, "amatoriali" nella grafica e nel lettering) le strisce di "Nerone il più duro del rione" firmate Gollum; il protagonista è un'attivista di una sezione romana del MSI che partecipa ai Campi Hobbit, suona musica alternativa, e si occupa a modo suo di cultura e di sport.

Cover del n. 23, giugno 1980. Disegno di Marchal



Nella seconda puntata del fumetto La via più breve verso il paradiso dell'artista fiammingo Prik, l'atmosfera di Berlino Est si fa sempre più calda per l'ingenuo e tesdardo giornalista comunista Piperno, che proprio rifiuta di ammettere, di fronte all'evidenza, che la DDR è una dittatura pericolosa per tutti (e in particolar modo per i "compagni" occidentali); alcuni oggetti "non conformi" al regime presenti nella sua valigia (un dopobarba, una copia di "Playboy" e soprattutto il Libretto rosso di Mao) rischiano di farlo finire in gattabuia; per evitare ciò se la dà a gambe, continuando però a registrare sul suo magnetofono portatile commenti entusiastici e assolutori verso la DDR, i suoi sgherri e il suo famoso "muro della pace", paragonabile artisticamente alla Grande Muraglia cinese.
Ottima da un punto di vista grafico una striscia senza titolo, frammentata in quattro vignette diverse poste in diagonale sulla pagina; ci sono due elettori del MSI, di età diversa; quello vecchio si lamenta perché Rauti è troppo estremista mentre al giovane non va giù Almirante, da lui ripudiato un "commediante"; e così i due scontenti si tirano la zappa sui piedi votando... il radicale Pannella! La striscia è firmata AK80: si tratta con ogni probabilità del primo lavoro del disegnatore fiorentino Alfio Krancic per "La Voce della Fogna". Krancic è forse il più noto vignettista dell'area di "destra" in Italia. Leggiamone la biografia sul suo blog personale:

Alfio Krancic nasce a Fiume il 1° marzo 1948. Nel 1949 si trasferisce con la sua famiglia a Firenze. Trascorre la prima parte dell’infanzia in un campo profughi dove vengono raccolti i giuliani-dalmati, italiani esuli dalla Grecia e profughi provenienti da altri paesi europei. Nel ’54 lascia il campo profughi stabilendosi in una casa nei dintorni di Firenze. Krancic negli anni settanta, dopo un inizio satirico su giornaletti studenteschi ciclostilati, comincia a collaborare con periodici giovanili legati alla destra, come “Linea” diretto da Pino Rauti e “La voce della Fogna”, diretta da Marco Tarchi. Negli anni ottanta la passione per la satira diventa una vera e propria professione e inizia una lunga carriera su quotidiani nazionali. Nel 1988 pubblica su “La Gazzetta di Firenze”, nel 1990 su “Il Secolo d’Italia” e nel 1992 Vittorio Feltri lo chiama a “L’Indipendente” e poi nel 1994 a “Il Giornale”, dove tutt’ora pubblica una vignetta quotidiana. Krancic ha inoltre collaborato per la pagina fiorentina de “La Repubblica”, con “L’Italia Settimanale”, “Il Giornale di Bergamo”, “Il Corriere Adriatico” ed altre testate minori. Ha partecipato a numerose trasmissioni televisive sulle reti nazionali della RAI. Ha pubblicato cinque raccolte di vignette e una raccolta di racconti fantasatirici: Matite Furiose (1994), Titanic Italia (1996), Guerre stellari (1999), Scherzi d’Autore (2004), La grande invasione (2014).

Francesco Manetti e Alfio Krancic, a Firenze, nel 2017, a parlare di Disney e Mussolini...



Nel 2017 chi scrive ha condotto insieme a Krancic, presso la sede del Rifugio del Ghibellin Fuggiasco a Firenze, una serata su "Disney e Mussolini".
Il contestatore di Tomaselli prende il posto dell'artista che lo ha creato e disegna nella striscia-colonna le inferriate di una cella del carcere, esempio lampante di democrazia all'italiana.
Riguardo a "Trama Nera", nel n. 18 del giugno 1978 Marco Tarchi aveva sperato "nel sopravvivere in qualche propaggine dell'ambiente di una briciola di senso dell'umorismo"; ciò evidentemente non era avvenuto, e due anni dopo il direttore chiude alla quinta puntata la controversa rubrica di Mister Misterius, dove quelli che lui chiama "camerotti" (camerati-galeotti) avevano usato i personaggi dell'universo di "Alan Ford" per raccontare "le tragicomiche vicende della nazionaleversione"; i virgolettati riportano le parole usate da Tarchi nelle due divertentissime introduzioni alla prima e all'ultima puntata di "Trama nera".


n. 24 - estate 1980 ("Figli dell'Impero")

Si tratta del primo numero della rivista a "cadenza stagionale" (con indicazione "giugno-luglio 1980" nel colophon interno). Appare qui l'ultima copertina realizzata dall'artista francese Jack Marchal per "La voce della fogna", il cui nero "ratto maledetto" aveva fatto per anni da mascotte; un bel Mussolini dichiara che strozzerà chiunque osi anche fischiettare Faccetta nera, visto che ormai l'Italia è popolata da 500.000 africani. Roma era ormai così poco "romana" nel 1980 che le era persino caduta la "R" dalla sigla SPQR (Senatus PopulusQue Romanus)!


Cover del n. 24, estate 1980. Disegno di Marchal

Parlavamo di "rarefazione" del fumetto negli ultimi numeri della "Voce della fogna" e su questo n. 24 ci sono infatti solo tre appuntamenti fumettistici...
Secondo appuntamento con la quartina di strisce della serie "Nerone il più duro del rione" di Gollum; il nostro missino attivista di sezione si traveste per carnevale da "radical-chic", si trasforma in un Mr. Hyde ebreo bevendo succo di pompelmo israeliano Jaffa, corre più veloce della Celere come Superman correva più veloce della luce e trova una singolare pietra filosofale.
Nella sua striscia Tomaselli ci presenta il contestatore della destra radicale che fiuta a naso gli agenti infiltrati a causa dell'odore di... "digossina"; la digossina è un farmaco per il cuore, ma nel caso della striscia di Tomaselli il termine non viene usato in questo senso ma nasce dalla fusione fra DIGOS (Divisione Investigazioni Generali e Operazioni Speciali della Polizia di Stato) e "diossina", sostanza chimica letale, essendo ancora vivo nel 1980 il disastro di Seveso del 1976.
Nella terza e ultima parte del fumetto in nove tavole La via più breve verso il paradiso di Prik, grande artista fiammingo della destra radicale, viene finalmente rivelato il vero significato del titolo; il giornalista di estrema sinistra che era andato a Berlino Est per magnificare la vita della DDR è costretto a fuggire scavalcando il Muro, saltando in aria sulle mine e schivando i proiettili dei Vopos; annegherà però nella Spree e il giornale italiano per cui lavorava riporterà la notizia in un trafiletto: "Agente della CIA trovato annegato al Muro di Berlino"; aveva dunque raggiunto davvero il paradiso, passando per la via più breve!

Il n. 1 della rivista "L'Altro Regno", novembre 1980



Nella rubrica "In ascolto" si parla della rivista "L'altro regno":

No, non quello dei cieli (e degli inferi) al quale tutti siamo chiamati - che ci volete fare? Questa è nientedimeno che una rivista bimestrale di informazione libraria diretta da Martino & Morganti. Ma come, vi chiederete, una fetida concorrente del nostro "Diorama"? Non sia mai. Completamente dedicata alle attualità bibliografiche nel campo della fantascienza, fantasy, horror, mitologia, esoterismo, tradizione. "L'altro regno" vi propone un viaggio nel fantastico attraverso editoriali, recensioni, fanzines, le immancabili offerte librarie. Marchi di qualità assicurati: direttore responsabile Gianfranco De Turris, altri collaboratori di ottimo ordine. troppi da citare, ma se vi diciamo Avallone, Cersosimo, Croppi, Guidetti, Tarchi, Voglino, Volpe, per fessi che siete ne avete per capire.


n. 25 - autunno 1980 ("Satana fuorilegge")

Sulla copertina viene indicato "autunno 1980" come periodo di uscita, ma nel colophon interno il numero è datato più esattamente "settembre-ottobre 1980". Sulla cover non firmata ecco Satana in persona, colpevole della "strategia della tensione" e degli attentati esplosivi, con particolare riferimento ai fatti di Bologna del 2 agosto 1980, quando fu piazzata una bomba alla Stazione Centrale, la cui paternità, seppur incerta, è stata fin dall'inizio, quasi per dovere costituzionale, attribuita ai "fascisti"; il popolo chiede che questo demonio sia messo fuorilegge, esattamente come la sinistra voleva che fosse dichiarato fuorilegge il MSI negli anni '70.

Cover del n. 25, autunno 1980



Nella sezione "Ciak" della rubrica "Quando sento parlare di kultura" il film L'impero colpisce ancora, seguito di Guerre Stellari, viene impietosamente stroncato dai redattori, facendo un parallelismo positivo fra il primo film e Il signore degli anelli di Ronald Tolkien e un parallelismo negativo fra il secondo film e l'America guerrafondaia di Ronald Reagan:

Già. Di Ronald ne conoscevamo due. E se "Guerre Stellari" aveva preso in prestito dal primo, il vecchio e pacifico mago di Oxford, il profumo delle mille magie della fantastica Terra di Mezzo - per proiettarne gli effetti nel futuro più avanzato -, in questo seguito non riusciamo a trovare granché di più di una rancida muffa cowboy in salsa Reagan. Laddove il Lucas produttore-regista aveva saputo insinuare riferimenti di fantasia, il Lucas nuovo stile e il suo regista-golem piantano mostri meccanici e meri effetti di facciata. Sì, certo, resta un po' di divertimento neppure a buon mercato (dipende dalla visione), ma di saga neanche l'ombra. Dai goffi destrieri alle corse folli e sgraziate fra caccia spaziali e asteroidi, dall'avventuriero sbruffone riciclatosi in play-boy graduato dell'esercito ribelle sino alla principessa trasformata (senza una virgola di regalità) in elettricista - dama di compagnia - bambola a tempo perso spupazzata dal simpatico mascalzone di turno, tutto è trovata casuale, pacchianeria, plagio. Quindi, date retta e non fatevi incastrare: perché, una volta svelato il colpo ad effetto (sì: il nero e malefico eroe negativo è il padre del brufoloso giovane buono!) e mozzata da una spada-laser la mano destra - ma presto sarà trasferita a sinistra: prodigi della tecnologia stars-and-stripes! - un terzo polpettone è assicurato. Grazie, zio Sam: preferiamo l'altro Ronald e le plastiche magie colorate delle sue "Lettere a Babbo Natale"!

Il secondo capitolo della saga di "Guerre Stellari"



Beh, noi siamo sempre stati di diversa opinione e consideriamo il secondo capitolo della trilogia originaria di "Star Wars" un'ottimo film di fantascienza, seppur maggiormente "d'azione" e meno "poetico" rispetto al primo; e ci chiediamo se anche l'anonimo redattore di questa recensione, visto che "La voce della fogna" era una rivista gigliata, era in sala con noi, in quel settembre 1980, al cinema Gambrinus di Firenze...
Nella striscia di Tomaselli gli agenti infiltrati della DIGOS, i celerini e i magistrati si preparano ad affrontare le Brigate Rosse... mostrando il deretano, piegati a 90 gradi!
Ispirandosi a "Il Male" i redattori della "VDF" pubblicano una falsa e spassosa edizione del quotidiano del MSI "Il Secolo d'Italia". "Il Male" fu, fra il 1978 e il 1982, una delle più importanti riviste di satira politica nell'area di sinistra; grande spazio veniva dedicato al vignettismo e al fumetto, con autori del calibro di Vincino, Vauro, Pino Zac, Vincenzo Sparagna, Cinzia Leone, Tanino Liberatore, Andrea Pazienza, Stefano Tamburini, Filippo Scòzzari, etc.; dall'esperienza del "Male" nacquero prestigiose riviste alternative a fumetti come "Cannibale", "Frigidaire", "Frizzer", "Tempi Supplementari" e via dicendo; il falso "Secolo" fa riferimento ai falsi quotidiani, realizzati con stile impeccabile, che "Il Male" talvolta distribuiva in allegato; memorabile quello di "Repubblica", con Ugo Tognazzi (che si prestò allo scherzo per le foto) arrestato in qualità di capo delle BR!

"La storia della civiltà" di Marchal: una tavola dalla prima parte, La Genesi.


Fra i più noti e più alti momenti fumettistici della "Voce della fogna" c'è sicuramente La storia della civiltà di Jack Marchal, della quale appare sul n. 25 la prima parte del primo capitolo, intitolato La genesi. Si tratta della traduzione italiana di un'opera di Marchal apparsa in Francia nel 1975, intitolata Histoire de la civilisation racontée aux enfants: ovviamente il riferimento ai bambini è puramente ironico, visti i numerosi ammiccamenti a un parco lettori adulto (uccisioni brutali, sesso, etc.). Nella satira di Marchal i pitecantropi che si sarebbero poi evoluti in Homo Sapiens erano fautori di un "comunismo primitivo; Adamo, il primo uomo evoluto e intelligente, esiliato dal paradiso comunista degli idioti scimmioni antropomorfi comunisti, usa per la prima volta nella storia un'arma (un osso di antilope) per uccidere uno di questi pelosi "compagni"; lasciato il paradiso comunista, Adamo trova Eva e si accoppia con lei "con impegno anticomunista" sognando di ribaltare tutti i vecchi valori dei pitecantropi (democrazia, idiozia e comunismo).


(fine della 5a parte)

Francesco Manetti