venerdì 22 maggio 2020

L'OVALE NERO - racconto di fantascienza

di Francesco Manetti


Quando la crosta del Pianeta non si era ancora solidificata e lave color arancione ondeggiavano semifluide schizzando dalla fascia equatoriale colossali gocce in orbita, un oggetto nero, lucido e di forma ovale, grande quanto una piccola luna, veniva attirato dalla scarsa, ma pur sempre apprezzabile gravità del mondo nascente. Non aveva la "cosa" né insegne, né colori che potessero dichiararne la provenienza; niente sulla sua inattaccabile superficie poteva far pensare a quanto fosse antico... La totale assenza di portelli, oblò, scanalature, giunzioni, razzi, ali o antenne faceva sembrare quel bolide un sasso di fiume, tanto perfettamente levigato dalla corrente nel corso dei secoli da far dubitare che la sua forma potesse essere data solo dal caso.
A differenza di un ciottolo trovato nel greto di un torrente, l'oggetto scuro era artificiale, l'espressione di una cultura la cui fine era tanto lontana nel tempo quanto nello spazio. Il viaggiatore era la summa delle conoscenze della civiltà che lo aveva costruito; la sua messa a punto aveva richiesto il lavoro e lo studio di migliaia di esseri, attraverso venti delle loro generazioni. Poi, con uno scopo ben preciso, inciso nelle sue memorie quasi-biologiche, l'oggetto si era staccato dall'immenso cantiere spaziale geostazionario in cui era stato assemblato e la sua ricerca era partita.
Adesso l'ovale d'ardesia aveva finalmente trovato il luogo ideale per cominciare il suo lavoro e aveva iniziato a ronzare. Seguendo un flusso magnetico, un'enorme massa di roccia fusa si staccò dalla superficie ribollente del Pianeta e si incolonnò verso la "nave" in orbita. Questa si tuffò nel magma scomparendovi all'interno per diventare il nucleo attorno al quale quel materiale ad altissima temperatura si sarebbe raffreddato e solidificato.
Il titanico agglomerato di pietra ruotava, diventando sempre meno liquido nel gelo dello spazio e assumendo una forma sempre più vicina a quella della sfera. Ruotava e modificava il moto del giovane globo sottostante.




Con il trascorrere delle ère il Pianeta si era indurito e un satellite naturale, sfigurato dagli innumerevoli impatti meteoritici, vi ruotava intorno. Ampie zone di verde ed enormi distese di acqua ricoprivano quel mondo; in perenne lotta contro la Natura si ergevano immense megalopoli, nelle quali viveva circa la metà di tutti gli individui dell'unica specie animale intelligente, variegata nelle razze e nelle culture. Quelle etnie così diverse fra loro, incompatibili addirittura, avevano vissuto tempi terribili, segnati dall'inquinamento ambientale, dalla sovrapproduzione industriale, dal dominio del danaro e da guerre infinite. Ogni tipo di progresso - scientifico, culturale, spirituale - rimase bloccato per interminabili periodi. Gli scontri, alla fine terminarono, e quella terra viveva da qualche secolo una stupenda Età dell'Oro, dove il benessere e l'istruzione erano doni diffusi a un livello capillare fra gli abitanti. Quella specie si era così potuta dedicare all'esplorazione del cosmo, attraverso raffinati strumenti ottici e radiotelescopi montati sulle cime di altissime montagne.
Il direttore del più grande di questi centri di osservazione celeste, una mattina di buon'ora telefonò al più qualificato dei suoi radioastronomi, svegliandolo:
"...mmmh... Pronto, chi è?... Cosa succede...?"
"Sono il direttore. Vieni qui al più presto, perché sembra che ci sia un problema", e riappende.
"Educato e chiaro come sempre!", mormorò lo scienziato. Poi si alzò per prepararsi un buon caffè, fatto con i fondi di quello del mattino precedente, come aveva visto in un vecchio film sulla vita di uno scalcinato detective e per l'ennesima volta si trovò a chiedersi se questa pratica mattutina di "riciclaggio" l'avesse inventata lui o quella pellicola.
Dopo una decina di minuti lo specialista si ritrovava già in auto, lanciato con calma sulla via dell'osservatorio. Non ci avrebbe messo meno di due ore a salire lassù dalla città dove abitava. La strada di montagna, abbastanza impegnativa, gli avrebbe fatto scordare che quella notte aveva dormito solo quattro ore e la notte prima, pur avendo passato dieci ore a letto, non poteva affermare di aver dormito. Sperava solo che il "problema" si sarebbe sgonfiato in fretta o che addirittura non ci fosse un vero problema, ma solo un nuovo attacco di ipocondria allarmistica del direttore.



Arrivato sull'altopiano dove era installato il centro, lo scienziato si precipitò lentamente verso l'ufficio del Gran Capo, per sentire cosa diavolo l'avesse portato a interrompergli il bellissimo - ed eccitante - sogno che stava vivendo.
"Siediti. I dati arrivati ed elaborati stanotte lo hanno confermato, purtroppo", disse cupo il direttore al giovane studioso, senza alzare gli occhi incorniciati da uno spesso paio di lenti dai fogli che straripavano dalla scrivania.
"Confermato cosa? Caso mai se lo fosse scordato, ero in ferie e..." 
"Si sta dirigendo qua e quel bastardo è grande la metà della nostra luna", lo interruppe bruscamente il direttore.
Per un attimo il giovane rimase incredulo, senza riuscire a pronunciare una sola parola. Poi, cercando di mantenere la calma, afferrò la cravatta verde e gialla del direttore e la tirò a sé finché i volti dei due non si trovarono a pochi centimetri l'uno dall'altro.
"Stai forse cercando di darmi a bere che, come nel più squallido dei film di fantascienza, un grosso e cattivo meteorite sta per distruggere il nostro bel pianeta?". Per la prima volta da quando lavorava al Centro aveva dato del "tu" al suo direttore.
"Calma, ragazzo! Anche se la mia cravatta non è la più elegante che mia moglie poteva regalarmi per il mio compleanno, è scortese farmelo capire così. Comunque, questo non è cinema, è la realtà."
La parola si sollevò nella stanza e ricadde come un macigno addosso ai due. Il direttore si rimise a sedere, mentre l'altro si alzò e cominciò a coprire la stanza in lungo e in largo con ampi passi.
"Ci deve essere una soluzione, una via d'uscita. Non posso crederci: dover morire perché uno stupido planetoide, in tutta la vastità dell'universo, va a sbattere proprio qua. Quando dovrebbe arrivare, l'intruso, secondo i calcoli?"
"Fra 483 anni, 105 giorni, dieci ore, 24 minuti e 38 secondi, circa", snocciolò il Capo, accomodandosi con l'indice la montatura degli occhiali sul naso.
"COSAA?! Osi svegliarmi alle 6 del mattino per dirmi che il mondo finirà fra CINQUECENTO ANNI?! A quell'epoca non saranno più vivi nemmeno i nipoti dei nipoti dei miei nipoti, e tu vieni a buttar giù dal letto ME, OGGI e, per giunta QUASI IN PIENA NOTTE?! E poi, come cavolo sei riuscito a calcolare con sicurezza un così lontano momento d'impatto, fino al secondo? Non so cosa mi trattenga dal mandare te e tutta questa baracca a farvi..."



"Non sono stato io a fare quei calcoli. Sono apparsi stamane sugli schermi dei nostri computer e ho subito contattato gli altri miei colleghi. Ogni osservatorio del mondo è stato interessato dallo stesso fenomeno. Abbiamo cercato di confermare i dati interrogando i calcolatori del Comando Militare, quelli con maggiore potenza di calcolo, e pare che un piccolo pianeta errante per adesso molto distante, potrebbe entrare nel nostro sistema solare in un periodo variabile fra i 300 e i 600 anni. Più tardi sugli schermi degli elaboratori è arrivato un messaggio in una lingua che si avvicina alla nostra, che, coma sai, è parlata dalla maggior parte degli abitanti del globo. Chiunque lo abbia mandato dice di trovarsi CON la luna da ben cinque miliardi di anni. Il messaggio spiega che dobbiamo iniziare immediatamente a operare per rimediare alla catastrofe che ci colpirà fra quasi mezzo millennio e..."
"L'unica cosa che possiamo fare è scrivere bei libri sull'argomento per i posteri, in modo che costruiscano arche o qualcosa del genere per andarsi a trovare un posticino più tranquillo, magari in un'altra galassia", lo interruppe l'altro, con velenoso sarcasmo.
Proprio in quel momento gli venne a mancare la terra sotto ai piedi e si ritrovò sdraiato sul pavimento con la testa ammaccata. Il direttore era invece rimasto a sedere, aggrappandosi alla scrivania.
"Non mi hai fatto finire di dire che l'autore del messaggio parlava anche di una dimostrazione su scala mondiale della sua potenza, in modo da convincerci a darci da fare subito".
Dopo aver detto questo il direttore dell'osservatorio astronomico accese la televisione. Tutti i programmi mostravano giornalisti affannati e sconvolti. La notizia sulla bocca di tutti era una sola, diffusa da tutte le stazioni.
"Incredibile! Un'onda sismica di media intensità ha fatto il giro del globo in pochi secondi! Limitati i danni alle persone e alle cose, ma non si capisce come...". Il giovane spense l'apparecchio, interrompendo il discorso dello speaker. Era come risvegliarsi in un manicomio. Qualcosa di intelligente e di antichissimo lanciava dalla luna esortazioni, minacce e prove di forza.
Un ronzio elettronico attrasse l'attenzione dei due astronomi verso la stampante del computer. Si era azionata da sola e andò avanti per parecchio tempo, riempiendo di grafici, disegni e cifre fogli su fogli. Per finire, un nuovo messaggio. Il direttore prese l'ultimo pezzo di carta uscito dalla macchina e lesse, a voce alta.
"Questa è solo la prima parte delle istruzioni che dovrete eseguire prima dell'arrivo del planetoide. Vi occorreranno circa dieci anni per riuscire ad attuarle, allo stato della vostra tecnologia. Mettete in campo i vostri maggiori esperti e non lesinate le risorse. Quando avrete terminato questo primo passo mi farò sentire di nuovo".
Il giovane scienziato uscì in silenzio dall'ufficio. Sarebbe tornato a casa e si sarebbe di nuovo messo a letto. Almeno per lui quei dieci anni sarebbero iniziati una paio di giorni dopo.



Da quel momento, esattamente ogni decennio arrivarono le istruzioni dall'entità della luna. Schiere di astrocarpentieri le misero in pratica seguendole alla lettera per secoli.
Quando mancavano pochi anni all'arrivo del planetoide, ormai già visibile a occhio nudo, fu completato quello a cui in tanti avevano lavorato usando ogni risorsa economica e ambientale del Pianeta, per numerose generazioni: uno sconfinato oggetto nero, lucido, di forma ovale, perfetto, pieno fino all'inverosimile di macchinari incomprensibili.
Pochi mesi prima della fine l'oggetto nero parlò, con una voce asessuata, attraverso ogni apparecchio che sul Pianeta fosse in grado di riceverlo e di ritrasmetterlo.
Forse la gente, che per quasi cinque secoli aveva speso ogni sua forza per obbedire a quegli ordini così perentori, avrebbe voluto sentire qualcosa di diverso; forse sognavano che l'oggetto lassù si aprisse per accogliergli tutti nel proprio grembo e portarli lontani dall'imminente distruzione totale. Ma il discorso fu un altro, inaspettato.
"Abitanti di questo pianeta! Per circa 500 rivoluzioni solari la vostra specie si è dedicata quasi esclusivamente alla mia costruzione, e moltitudini intere sono morte senza averne mai saputo il perché. Ormai è giunto il momento di svelare il mio scopo.
"Prigioniero nel cuore della vostra luna, fuso irrimediabilmente in essa, ma ancora attivo, esiste un oggetto in tutto e per tutto uguale a me. Fu terminato di costruire 6 miliardi di anni fa, quando l'universo era più giovane di adesso. L'antica specie che lo aveva creato scomparve poco dopo che l'ovale era partito dal loro pianeta, polverizzato con tutti i suoi abitanti dall'esplosione del loro sole.
"Quella gente, proprio come voi, aveva dedicato i suoi ultimi secoli della loro esistenza alla realizzazione di un progetto imposto loro da un ovale identico a me e al mio predecessore, sepolto da miliardi di anni nella loro luna.
"Come era successo miliardi di anni prima a un altro pianeta in un'altra galassia, copie dei DNA di tutte le razze, di tutte le specie animali e di tutte le specie vegetali di quel mondo furono immagazzinate nelle memorie dell'ovale nero. Quello era il loro lascito. Il testamento di un INTERO pianeta. Una promessa di rinascita. Il mio predecessore, come aveva fatto il suo predecessore, viaggiò per eoni fra le galassie, alla ricerca di un pianeta in formazione che potesse ospitare con efficacia quel nobile retaggio genetico. Inseminò di vita quel mondo, altrimenti sterile. VOI eravate gli ultimi discendenti della specie primordiale, e per milioni di anni vi siete evoluti su questo globo, modellato sulla falsariga del pianeta primordiale. Oggi il destino impone un nuovo inizio alla vostra specie. Le mie banche dati stanno già copiando i vostri DNA e quelli di tutte le forme di vita presenti su questo mondo. Presto mi metterò in viaggio."

Quando l'ovale partì, un mese prima dell'arrivo del planetoide assassino, lasciando l'orbita di un mondo morente devastato da tempeste, terremoti, colassi magnetici e gravitazionali, non ci fu nessun festeggiamento. Non ci fu nessuna commemorazione. Niente di niente.

Non c'era più nessuno su TERRA DECIMA.


Francesco Manetti

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