Un
racconto del Comandante Remington
di
Francesco Manetti
Premessa
Tanti anni fa, in un'epoca lontana, lontana, avevo scritto una storia con protagonista il Comandante Mark, pensata per essere pubblicata su una ristampa della storica collana bonelliana. Poi non se ne fece più niente e il racconto è rimasto nel mio "cassetto digitale" fino a quando non entrai nella comunità di Facebook e lo misi nelle note. Lì credo che l'abbiano scorso in tredici (più lettori di quelli dei Promessi Sposi, comunque)... Ve lo ripropongo qui, con alcune varianti, soprattutto nei nomi dei personaggi. (F.M.)
1.
Un strano risveglio
“Grande
Scott! Dove sono?”, gridò il Comandante Remington, svegliandosi
nel bel mezzo della foresta, in riva a un tumultuoso torrente.
“Uhm…
A quanto pare non mi trovo molto lontano dal quartier generale…”,
rifletté Remington, toccandosi la fronte contusa. “La Foresta
degli Aceri… al massimo venti miglia a nord di Fort Maple! Questo,
infatti, non può essere che il Kingsboro River – anzi, il Rebel’s
Creek, come preferiscono chiamarlo i miei Falchi! Il rombo delle sue
acque nella stagione autunnale è inconfondibile!”
Poco
più in là, con la schiena appoggiata a un tronco secolare un
omaccione pesto e lacero giaceva ancora svenuto.
“E
questo?”, si chiese Remington, confuso. “Forse è un patriota
reduce da uno scontro con cento Giubbe Rosse… o un tagliaborse con
il quale sono venuto alle mani… Ma no, perbacco! Si chiama… Ah,
se la testa non mi facesse così male, Grande Scott! Ci sono,
finalmente! E’ Daniel Buster, uno dei boscaioli scomparsi!”.
E
così, pian piano, la memoria di Remington riemerse, tornando ad
alcuni giorni prima, quando, a Fort Maple, il Comandante aveva
convocato nel suo ufficio i suoi due più fidi collaboratori.
2.
L’inquietante messaggio
“Oggi
mi sembri più funereo del solito, Sad Lynx… Non mi dirai che ti
sei di nuovo messo a litigare con Black?”, azzardò Remington.
“Per
tutte le magie del mio trisnonno stregone! Pensi che io possa
sacrificare il mio onore di capo indiano in misere scaramucce con
quel sacco di pulci ossuto?! Ugh! Mi meravigli, mio caro Remington!
Vuol dire che dopo anni di comuni avventure ancora non mi conosci
se…”
In
quel mentre, spalancando la porta, irruppe Mister Riff.
“E’
proprio vero, per tutte le barbacce del Nuovo Mondo! Remington non ti
conosce! Glielo hai detto per cosa stavate accapigliandovi tu e
Black? E’ bene che tu lo sappia, caro Remington, per capire in
quali abissi può spingersi la cattiveria umana!”
“Dunque?”,
chiese Remington, sorridendo.
Mister
Riff non si fece certo pregare. “Quando Sad Lynx aveva finito di
spolpare il secondo dei galletti che si era fatti arrostire, Sally
aveva pensato di gettare a Black la pelle avanzata dei due
gallinacci. Orbene, sotto la rude scorza da selvaggio delle Americhe
batte nel petto di Sad Lynx il cuore di un milord del Vecchio
Continente: mai e poi mai ho visto questo indiano di nobili e vantate
ascendenze mangiare la pelle di quello che aveva avuto la sfortuna di
capitare fra le sue voraci ganasce. La pelle del pollo è troppo
grassa… la pelle del tacchino è troppo dura… e così via. Una
lamentela infinita! Ebbene… Sally prende la scodella di Sad Lynx e
quando i saporiti bocconi sono già a portata di zanne del
contentissimo Black, questa sottospecie di indiano si riprende il
piatto e divora in quattro e quattr’otto quei resti, pontificando
che le sostanze essenziali, come sosteneva il suo illustre antenato,
erano tutte lì contenute e che sarebbero andate sprecate nello
stomaco di un mangiaossa pidocchioso! Altro che Falco dell’Ontario!
Un affamatore di cuccioli, ecco quel che sei!”
“Per
Manitù! Come ti permetti, brutto pancione barbuto…?”
Trattenendo
a stento una risata, Remington intervenne a ristabilire l’ordine.
“Ora
basta, amici, altrimenti è inutile avervi fatto convocare con tanta
urgenza!”
“Per
mille barbacce infuocate! Stavo quasi per scordarmene! Dove dobbiamo
andare?”
“Stavolta,
cari amici, mi aspetta una missione in solitario... Affido a voi,
finché dura la mia assenza, il comando di Fort Maple”.
“Ugh!
La Corona ha forse deciso di mandare altre truppe fresche per
mantenere in allenamento i nostri sganassoni?”
“Mmm…
Anche se i sospetti sono forti non è certo che ci sia lo zampino
delle Giubbe Rosse in questa faccenda… A cinquanta miglia da qui,
oltre la grande Foresta di Aceri, c’è Timberton, un villaggio di
patrioti, tirato su da onesti e forzuti taglialegna che vedono i
gamberoni di Re Giorgio come fumo negli occhi! Finora il paese ha
vissuto una vita tranquilla, tanto che gli inglesi non hanno messo
nemmeno un presidio da quelle parti. Purtroppo mi è appena giunta
notizia che da un paio di mesi si stanno verificando misteriose
sparizioni di boscaioli e occorre che qualcuno vada a indagare sul
posto. Ho pensato di spacciarmi per uno straniero giunto lì in cerca
di lavoro…”
“Ma…
non temi che qualcuno possa riconoscerti, Remington?”, domandò un
preoccupato Mister Riff.
“Certo…”,
continuò Remington, “sanno bene chi sono e conoscono a memoria le
gesta dei Falchi, ma il mio volto lo hanno visto in pochi, a
Timberton… laggiù ho fatto solo un paio di ricognizioni e mi è
sembrato il luogo più pacifico della Terra: niente inglesi, niente
guai! Mi sono confidato solo con l’oste dell’Oca Nera, la locanda
del paese, un tipo quadrato e bravissimo nel tenere a freno la
lingua. E’ Pat Remick, ma tutti lo chiamano Big Bear – Grande
Orso – per la sua corporatura non proprio gracilina. E’ proprio
lui che mi ha fatto giungere questo allarmante messaggio…”
Da
una borsa di pelle Remington estrasse un plico e iniziò a leggerne
il contenuto. “Carissimo amico, affido queste mie parole a un
mercante di passaggio – uno dei nostri – con la precisa richiesta
di fartele avere al più presto. Timberton è sempre stato un
villaggio pacifico e sicuro per i suoi abitanti. Sapendo che il più
debole di noi è alto due metri e abbatte con tre colpi d’ascia una
quercia, le Giubbe Rosse si sono sempre fatte vedere malvolentieri
dalle nostre parti e non abbiamo più avuto contatti con gli inglesi
da quando il capitano Oswald Broomingham, un anno fa, fece capolino
con i suoi sgherri. I gamberoni presero così tante legnate che l’eco
si sente ancora oggi nei nostri boschi. Broomingham giurò vendetta
ma tutti pensarono alla solita fanfaronata dei gallonati di Re
Giorgio… Due mesi fa, però, è svanito uno dei nostri boscaioli e
inutili sono state le ricerche. Era solo l’inizio… Oggi mancano
all’appello ben sette cittadini di Timberton… Le sparizioni si
sono fatte più frequenti e quelli che hanno famiglia stanno già
preparando i bagagli. Di notte si sono viste vagare fra le case ombre
inquietanti, e nella foresta si odono grida belluine che sembrano
generate dal più profondo degli inferni! Ormai anche nei più
coraggiosi comincia a insinuarsi il dubbio. Abbiamo bisogno di aiuto…
di qualcuno che ci infonda nuovamente speranza e coraggio… di uno
che abbia la tenacia del Falco Solitario… Firmato Big Bear!”
“Per
tutte le barbacce di Belzebù! Anche se non ti nomina mai –
immagino per motivi di sicurezza - è chiaramente un invito a te,
Remington, e a te solo!”
“Ugh!
Lo credo anch’io! Ma potrebbe rivelarsi una trappola, e per
Remington si prospetterebbe la più funesta delle conclusioni…”
“Non
dare retta a questo spennacchiato menagramo, Remington!”,
intervenne Mister Riff. “Non possiamo correre il rischio che un
paese di patrioti diventi una città fantasma!”
3.
Arrivo a Timberton
Remington
congedò i due amici, montò in groppa al cavallo più fresco del
Forte e quella sera stessa arrivò a Timberton.
Il
clima di paura era tangibile… dopo il tramonto nessuno osava più
aggirarsi per le strette vie del paese e solo le finestre della
locanda dell’Oca Nera, dalle quali traspariva una fievole luce,
avevano gli scuri aperti. All’interno dell’osteria un unico
avventore dormiva poggiando la testa su un tavolaccio di legno.
“Remington!
Finalmente!”, gridò “Big Bear”, uscendo dalla cucina. Il
cliente si destò e sollevò il capo, guardando assonnato il nuovo
arrivato.
“Shhh!”,
fece il Comandante circospetto, portandosi il dito indice davanti al
naso. E appena fu a portata d’orecchio di Remick aggiunse
sottovoce: “Niente nomi, Pat… sono qua in incognito. Per tutti
sono semplicemente uno straniero in cerca di lavoro”.
“Ero
talmente felice di vederti che mi sono fatto prendere
dall’entusiasmo… e come devo chiamarti?”
“Sonner…
Simon Sonner, ed è con questo nome che domattina mi presenterò alla
Compagnia del Legno per essere assunto”.
“Ti
stenderanno il tappeto rosso, visto che da qualche tempo solo pochi
temerari – e i più bisognosi di soldi - se la sentono di andare a
lavorare nei boschi”, gli confida Pat, “ma dovrai comunque
guardarti da Sly Cornell, il caposquadra. E’ un brutto tipo… un
attaccabrighe di professione…”
“Beh…
saprò cavarmela, caro Pat!”
“Non
ne dubito, Coman… Simon! Ma ora… sarai stanco! Ti preparo subito
la stanza più comoda dell’Oca Nera… ti troverai di certo a tuo
agio!”
4.
Che fine ha fatto Frank Carter?
I
giorni seguenti, nonostante l’aria triste e cupa che pesava su
Timberton e sulla foresta come una cappa di piombo, scivolarono via
tranquilli.
Come
aveva predetto Big Bear, Remington fu assunto senza troppe domande
alla Compagnia del Legno e fece amicizia con Daniel Buster, un
taglialegna stagionale che alloggiava come lui alla locanda di
Remick; il Comandante ebbe modo di conoscere anche Sly Cornell,
l’insopportabile, arrogante caposquadra, un bruto tutto muscoli che
non esitava a sfoggiarne la potenza alla minima occasione. Il
tipaccio aveva subito inquadrato Remington come un gran lavoratore,
ma non lo sopportava perché questo Simon Sonner era l’unico capace
di tenergli testa anche nelle più animate discussioni, dove volavano
randelli e sganassoni. Ma Cornell, di quei tempi, non era certo il
problema principale della gente del luogo.
Durante
la pausa per il pranzo Buster – un omaccione capace di divorarsi un
mezzo capretto arrosto alla volta – aveva preso l’abitudine di
confidarsi con Remington, e discorrendo gli spiegò che il momento
più pericoloso era quello prossimo all'imbrunire, quando i boscaioli
stavano per tornare in paese: tutti quelli che mancavano all’appello
erano scomparsi poco prima della fine della giornata lavorativa e
l'intervallo di tempo fra una sparizione e l'altra si stava sempre
più assottigliando.
Erano
ormai passati cinque giorni dalla partenza da Fort Maple. Mentre
Remington stava lavorando d'ascia nella sua zona, attigua a quella di
Daniel, sentì un urlo raccapricciante provenire dal settore del
collega Frank Carter, un buon uomo, il più anziano del gruppo, ma
ancora forte come una roccia. Anche Daniel aveva udito e con
Remington accorse verso il punto da dove si era levato il terribile
lamento. Insieme a loro arrivò anche Sly ma non trovarono nessuno;
in terra c'era solo l'ascia di Frank... con l’impugnatura macchiata
di sangue!
Lo
sconforto più nero si abbatté di nuovo sui superstiti della
Compagnia del Legno e solo Remington – con parole di coraggio e di
speranza – e Sly – con la promessa di un aumento della paga
giornaliera – riuscirono a riportare la calma e a evitare il fuggi
fuggi generale.
Il
Comandante, però, cominciò a sentire puzza di bruciato: mentre
tutti erano affranti per la scomparsa del bravo Frank, gli sembrò di
scorgere sul volto di Cornell l’ombra di un diabolico ghigno…
Quando
il sole era diventato un rossa palla di fuoco all’orizzonte i
boscaioli si incamminarono silenziosi sul sentiero che riportava in
paese e solo Sly restò nel bosco, nel capanno che fungeva da
ufficio, per sbrigare, come tutte le sere, conti e altre scartoffie.
5.
La strana stoffa
La
mattina seguente, prima di iniziare a tagliare, Remington tornò da
solo indagare laddove lavorava Frank.
“E
questa, cos’è?”, si chiese il Comandante dei Falchi
dell’Ontario, staccando un pezzo di uno strano materiale che
svolazzava impigliato in un ramo - un brandello di una stoffa dai
bizzarri colori che si confondevano con le tonalità del bosco.
Remington, in vita sua, non aveva mai visto niente di simile. “Certi
animali cambiano il loro manto per nascondersi meglio nell’ambiente
dove vivono”, rifletté Remington, “ma non avevo mai sentito di
abiti confezionati in tale maniera… A meno che qualcuno non voglia
giocare un brutto tiro al prossimo, sorprendendolo di colpo senza
essere visto prima di essere già addosso alla vittima! Sarei pronto
a scommettere che i rapitori indossano speciali divise confezionate
con questo tessuto!”
6.
Scompare Daniel
Più
tardi, verso la fine della giornata, anche Daniel scomparve nel
nulla. Remington sospettava già quale poteva essere il modo in cui
avvenivano le sparizioni e – dopo aver finto di tornare in paese
insieme agli altri - si appostò non visto nei pressi del punto in
cui lavorava l’amico Buster.
Dopo
che i boscaioli se ne erano andati passò del tempo senza che niente
succedesse. Con la notte il freddo cominciava a mordere il volto del
Comandante. A un tratto apparve Sly con una lanterna in mano. Tenuto
d’occhio da un attento Remington, il caposquadra si diresse a colpo
sicuro verso un punto ben preciso e da sotto un telo cucito con la
stoffa mimetica e poi ricoperto di foglie e arbusti tirò via
trascinandolo per i piedi un uomo, apparentemente senza vita.
“Grande
Scott! E’ Daniel!”, pensò Remington. “Voglia il Cielo che non
sia stato ucciso altrimenti Sly maledirà il giorno in cui è nato!”
Ma
proprio in quel momento, quando Remington stava quasi per schizzar
fuori dal suo nascondiglio, Daniel gemette. Il fido boscaiolo
respirava ancora!
Sly
sembrò non far caso al lamento di Daniel e, come se non pesasse
niente, si caricò in spalla l’omaccione e si incamminò verso il
magazzino, tallonato a debita distanza da Remington.
Arrivato
nel capanno, che fungeva da deposito attrezzi e da segheria, Sly
scaricò pesantemente il suo fardello umano. Daniel, scosso dalla
botta, cominciò a riaversi. Ma Sly non perse tempo: estrasse da un
panno una fialetta di vetro piena di liquido rosso e la versò nella
bocca di Daniel. Il boscaiolo tossì e sputacchiò un po’ di
liquido… e in un attimo si accasciò.
“Un
potentissimo sonnifero”, commentò Remington fra sé e sé. “Il
povero Daniel è tornato nel mondo dei sogni nel giro di un secondo!”
Assicuratosi
che la vittima aveva perso i sensi, Sly sollevò Daniel per infilarlo
in un lungo tronco cavo.
“Sarà
con questo che arriverai a destinazione, caro Daniel! E poi… ah ah
ah!” La diabolica risata risuonò forte nella segheria.
Quando
il caposquadra si allontanò per un attimo dal tronco, Remington non
perse tempo e si infilò dentro anche lui.
Per
un pelo! Sly tornò dopo un minuto portando due pesantissime e nodose
sezioni circolari di tronco. Con pochi, rapidi ed esperti gesti, il
vile caposquadra inchiodò ai due estremi dell'albero - a mo' di
tappi – i dischi di legno: nessuno, a prima vista, avrebbe mai
detto che si trattava di un tronco cavo e che al suo interno c’erano
due uomini!
Preso
un ferro appuntito Sly incise così sulla corteccia una "X"
e la località d'arrivo: Wendover / Fort King George. Poi il silenzio
e Remington si rassegnò a dover passare un bel po' di ore in quella
scomoda posizione.
7.
Il viaggio
La
mattina dopo il tronco cavo con Remington e Daniel venne issato su un
carro insieme ad altri tronchi: grazie ad alcune fessure Remington
riuscì a intravedere qualcosa. E vide anche i suoi colleghi
taglialegna. Forte fu la tentazione di gridare per avvertirli, ma per
risolvere il mistero delle persone scomparse occorreva andare fino in
fondo! Dopo un breve tragitto (il Comandante calcolò che non
potevano essere passate più di tre ore), il carico venne depositato
presso un magazzino di smistamento a Wendover, in un territorio
ancora sotto il totale controllo degli inglesi. Nemmeno le scosse e
gli sballottamenti del viaggio bastarono a svegliare Buster, ancora
sotto gli effetti del potente sonnifero.
I
tronchi con incisa sopra la destinazione di Fort King George vennero
messi su un carro più piccolo. Ascoltando con attenzione attraverso
le fessure del legno, un Remington sempre più dolorante venne così
a sapere che a venti miglia da Wendover, le Giubbe Rosse stavano
costruendo un nuovo fortino e avevano bisogno di parecchio legname.
Il carro arrivò a destinazione in tarda serata.
8.
Alla locanda dell’Oca Nera
Intanto
a Timberton, era giunta la fine di un'altra dura giornata di lavoro e
Sly si era insospettito: Simon Sonner non si era presentato al lavoro
e nessuno sapeva che fine avesse fatto! Cornell era al corrente che
Sonner alloggiava all’Oca Nera, nella stanza sul retro, e non esitò
nottetempo a intrufolarsi furtivamente nella camera di quello che per
lui era solo un arrogante e insopportabile novellino. Ma nella sua
posizione Sly non poteva permettersi il minimo errore. “Altrimenti”,
pensò, “il piano andrebbe gambe all’aria!”
Una
rapida perquisizione e Sly mise le mani sulla lettera che l’oste
della locanda aveva inviato a Remington.
“Per
l’inferno!”, esclamò un furibondo Cornell. “Quel Sonner è
venuto qua per ficcare il naso nei nostri affari! Mi chiedo chi
diavolo possa essere… certo non un taglialegna… Sicuramente è
una spia dei dannati ribelli!”
Sly
non aveva la certezza di dove fosse andato a cacciarsi quel Sonner,
ma decise comunque che all’alba sarebbe partito per Fort King
George, galoppando ventre a terra. Il pericolo era troppo grande. Per
un giorno i boscaioli di Timberton avrebbero fatto a meno del loro
caposquadra.
9.
I mostri
Non
sentendo più nessuna voce da qualche minuto Remington decise di
uscire dal tronco e sferrò un doppio calcio al tappo di legno
facendolo saltar via. Scivolato fuori si accorse di essere in un
magazzino non dissimile da quello dei boschi di Timberton. Mentre il
Comandate stava per togliere da quella scomodissima situazione anche
il povero Daniel, una porta si aprì ed entrarono due figure con un
lume. Remington fece appena in tempo a nascondersi dietro una fascina
di rami tagliati.
I
due individui – che erano vestiti da capo a piedi con una divisa
fatta della stessa stoffa che Remington aveva trovato dove era
scomparso Frank - avvicinatisi ai tronchi, si accorsero subito che
uno dei tappi era caduto ma si rassicurarono quando scoprirono che il
rapito era ancora dentro. Da un altro tronco segnato con una "X"
tirarono fuori proprio Frank, ormai cadavere. Dai commenti dei due
Remington capì che il disgraziato taglialegna era morto perché gli
era stata fatta ingurgitare una dose troppo forte di sonnifero (era
stato rapito il giorno prima di Daniel e perciò doveva dormire più
a lungo). Remington rischiò di esplodere dalla rabbia.
I
due, seguiti da Remington come un’ombra implacabili, portarono
Daniel in un sotterraneo. Ad attenderli c'era una persona piuttosto
anziana con un camice che i due salutarono come Dottor Nathaniel
Broomingham. Remington si ricordò subito di quel tristo figuro: era
un medico inquadrato nell'esercito di Re Giorgio ed era nientemeno
che il fratello maggiore del Capitano Oswald Broomingham, che tante
legnate aveva beccato dagli abitanti di Timberton; circolava la voce
che il Dottor Nathaniel avesse combinato qualcosa di orrendo con una
tribù d'indiani, la quale, sconvolta dall'ira, aveva assalito e
bruciato il forte dove Broomingham esercitava. Numerose Giubbe Rosse
erano morte e la tribù era stata in seguito sterminata. Tutto era
stato messo a tacere con l’espulsione di Broomingham dall’esercito
inglese.
Daniel,
che cominciava a riprendersi dagli effetti del potente sonnifero,
venne adagiato su un tavolaccio di legno e legato strettamente polsi
e caviglie con degli spessi lacci di cuoio.
“Bene,
bene, bene!”, disse Il Dottor Broomingham sfregandosi le mani. “Il
soggetto è ben forte, come tutti i patriottici boscaioli di
Timberton, e reagirà ottimamente all'ultima versione del mio siero
modificatore!”.
Poi
il dottore e i suoi sgherri se ne andarono col proposito di
riprendere il lavoro la mattina seguente. Il portone del laboratorio,
pesantissimo e semi-blindato, venne chiuso con molte mandate di
chiave.
Remington
era rimasto chiuso dentro, celato nel suo nascondiglio di fortuna.
“Forza
Daniel! Non c’è un momento un da perdere! Ho una gran paura che
questi pazzi stiano per combinare qualcosa davanti al quale lo stesso
Belzebù arriccerebbe il naso!” E così dicendo Remington si
apprestò a slegare l’amico taglialegna, che ormai si era ripreso
del tutto dalla pozione sonnifera. I due iniziarono a pensare a un
piano per evadere e si misero a cercare qualcosa per forzare il
portone del laboratorio.
“Vorrei
dirti una cosa, amico mio… e questo mi sembra il momento giusto,
perché credo che ormai siamo vicini alla soluzione del caso”,
disse Remington mentre frugava dietro un sacco di trucioli di tronco.
“Il mio vero nome non è Simon Sonner. Mi chiamo Remington e
qualcuno ha voluto affibbiarmi il titolo di Comandante…”
“Per
tutti gli aceri del Canada!”, esclamò allibito Daniel. “Il
Comandante Remington dei Falchi dell’Ontario! Non mi dirai che il
più grande patriota d’America ha deciso di cambiar mestiere? Non
vorrai per caso metterti a spaccar legna invece che teste inglesi?”
“Niente
di tutto questo”, fece Remington accennando un sorriso. “Sono
venuto a Timberton per indagare sulle sparizioni dei tuoi colleghi…
e come al solito c’è lo zampino dei sudditi in divisa di Re
Giorgio!”
Nel
stanza Remington e Daniel non riuscirono a trovare nulla di adatto
per forzare il portone – un piede di porco, una mazza di ferro…
Dentro a un pesante armadio in massello i due scovarono degli
alambicchi per distillare strani liquidi. E all’interno
dell’armadio, un pannello scorrevole si aprì su un nuovo ambiente,
angusto e fiocamente illuminato da una torcia infilata in un supporto
metallico del muro. Al Comandante Remington sembrò di scorgere a
poca distanza qualcosa che si muoveva, emettendo un rumore
strascicato.
“Grande
Scott! Se questo non è l’inferno poco ci manca!”, esclamò il
Comandante. “Vediamo di fare più luce”!
Quando
Daniel trovò e accese una seconda torcia l’orrore più nero si
rivelò agli occhi dei due in tutta la sua tragedia: lungo una parete
erano allineate tre gabbie formate da massicce sbarre di ferro e in
ognuna di quelle celle c'era un mostro tremendo, dall'aspetto deforme
e vagamente umano. Nei tratti di una di queste tristi creature Daniel
credette di scorgere Josh, uno dei boscaioli rapiti. Infastiditi
dalla luce gli esseri, chiaramente sofferenti, cominciarono a ululare
e a emettere lamenti sempre più forti.
Insospettiti
dai versi delle creature Il Dottor Broomingham e i due suoi più
fedeli sgherri scesero nel sotterraneo dove si trovava il laboratorio
vero e proprio e l’anticamera con il tavolaccio di costrizione.
Remington e Daniel erano inermi e allo scoperto.
“Prendete
quei due”, fece il Dottor Broomingham ai suoi tirapiedi, armati
fino ai denti con pistole e sciabole.
“Dannati
inglesi! Questi poveri esseri ingabbiati… un tempo erano i miei
amici boscaioli, vero?”, intervenne Daniel. “Ma perché, in nome
di Dio?”
La
domanda del taglialegna rimase inevasa: Remington e Daniel vennero
afferrati e legati come salami. In quel preciso istante il Comandante
si pentì di aver lasciato Fort Maple disarmato, avendo pensato che,
per dare un aspetto più innocuo al personaggio di Simon Sonner, era
meglio non portare pistole infilate nel cinturone.
10.
La storia del Dottor Broomingham
“Mi
hai chiesto perché, stupido boscaiolo?”, urlò in faccia a Daniel
il perfido Broomingham. “Beh, visto che tra poche ti interesserà
solo combattere per l’Inghilterra ai miei ordini, non vedo come mai
non dovrei soddisfare questa ultima tua curiosità di spregevole
rivoltoso… Quand'ero dottore dell'esercito, grazie alla mia laurea
in scienze mediche e chimiche ottenuta nell’immortale ateneo di
Oxford, avevo deciso – senza avvertire i miei ottusi superiori –
di condurre degli esperimenti su alcuni di questi primitivi selvaggi
che infestano le nostre Colonie. Con un siero di mia invenzione
miravo a trasformare un essere umano in un super-soldato, rispettoso
della discplina militare, invincibile in guerra, resistente alle
ferite di arma da fuoco e da taglio e capace di braccare il nemico
per giorni interi in qualsiasi luogo.
“Follia
pura!”, esclamo Remington, rimediando un pesante sganassone
sferrato da uno dei guardaspalle dello scienziato.
“Spero
che non ci siano più interruzioni da parte… del Comandante
Remington!”, riprese il Dottor Broomingham, sorprendendo i due
amici. “Già! Credevi che non ti avessi conosciuto, arrogante Falco
dell’Ontario? Mio fratello Oswald mi ha descritto così tante volte
il tuo aspetto e le tue bravate che il tuo ritratto mi si è scolpito
in testa come nel marmo!”
“Sapere
chi sono, non ti salverà, dannato cervello bacato”, rispose
Remington, buscando un altro ceffone.
Ma
il dottore stavolta finse di ignorarlo e continuò la sua storia:
“Ero sicuro che una volta ottenuto un buon risultato i miei meriti
sarebbero stati riconosciuti dalle alte gerarchie e che non avrei più
dovuto lavorare di nascosto. Ma poi scoppiò… l’incidente con la
tribù di Corvo Tonante… alcuni giovani pellerossa si
intrufolarono nel mio laboratorio segreto celato nel forte dove
esercitavo come ufficiale medico e scoprirono alcuni loro compagni in
fase avanzata di trasformazione. Quei selvaggi, mossi da pietà,
uccisero le mie preziose cavie e diedero fuoco a tutto. Fui espulso…
e solo un insperato aiuto del Destino mi permise di scampare la
forca… Non esistevano prove materiali di quelle che potevano essere
colpe gravi agli occhi di una corte marziale in quanto l’incendio
appiccato dagli indiani, alimentato dai prodotti chimici, aveva
incenerito tutto. E inoltre era interesse dell'esercito mettere tutto
a tacere. I Coloni, all’epoca, non erano scalmanati come adesso e
gli alti gradi preferirono non far trapelare notizie che potessero
creare – dissero – degli scontenti. Fu data la colpa
dell’incendio agli indiani e la tribù di Corvo Tonante fu
sterminata.
Tornai in Inghilterra a riprendere i miei studi… Poi,
inaspettatamente, mio fratello mi mandò a chiamare, dicendomi che i
tempi erano cambiati e che l’esercito non avrebbe più ostacolato –
ma anzi agevolato – i miei esperimenti per poter soffocare una
volta per tutte la ribellione contro la Corona! Oswald mi suggerì di
usare Timberton come allevamento di cavie… servendomi di Sly
Cornell come contatto, un brutto ceffo, capace di uccidere sua madre
per un pugno di monete! Timberton, un paese infestato come pochi da
sedicenti patrioti! Gente rude e forte, adattissima a far parte del
futuro super-esercito di speciali Giubbe Rosse! I primi boscaioli
rapiti hanno avuto la loro dose sul posto – un siero ancora
instabile che ha trasformato solo in parte quegli uomini. Ci sono
sfuggiti e ancora adesso staranno vagando dalle parti di Timberton,
innocui e completamente senza cervello, incapaci di ricordarsi chi
siano. Forse un giorno daranno vita a leggende di strani esseri dei
boschi… Ma adesso sono molto vicino al risultato finale, e sarete
proprio voi due ficcanaso a provare gli effetti della definitiva
versione del mio straordinario siero!”
Ridendo
come un pazzo Broomingham spegne le torce e se ne va con i suoi
sgherri lasciando Remington e Daniel da soli con i loro pensieri.
11.
Sly Cornell
All’alba
il perfido Sly lascia Timberton e si lancia al galoppo verso Fort
King George, contando di arrivare in mattinata ed è proprio quando
il caposquadra dei taglialegna – traditore dei suoi stessi colleghi
– giunge a destinazione che il Dottor Broomingham, accompagnato
dalle due guardie del corpo scende nel laboratorio.
Il
folle scienziato estrasse lentamente da un rigido astuccio di pelle
foderato di velluto rosso una siringa piena di siero.
“Come
ha potuto un uomo di scienza commettere simili crimini?”, chiede il
Comandante Remington, “mettendosi oltretutto in combutta con dei
tipi loschi come Sly?”
“In
nome della Scienza tutto è permesso”, ribatte Broomingham. “Quanto
a quell’idiota di Sly… E’ solo una pedina sacrificabile: lo
farò massacrare da uno dei miei super-soldati al termine delle
ricerche… in questo modo proverò la forza reale delle mie creature
e non dovrò dividere la gloria con nessuno! Ah ah ah!”
Sly,
che aveva sentito tutto dall’anticamera, irruppe nel laboratorio
sparando e lanciando terribili invettive contro il Dottor
Broomingham. I due sgherri del dottore caddero subito sotto i colpi
di Sly, mentre il Dottor Broomingham corse verso i suoi mostri.
Tirando una leva aprì le gabbie e le creature si precipitarono
fuori, urlando come dannati e correndo aggressive verso Sly. L’orrore
disumano che una volta era stato Josh si diresse invece verso Daniel
e Remington.
“Da…
niel!”, disse l’essere con voce incerta.
“Amico
mio!”, fece Daniel. “Allora… quel siero non è riuscito ad
annullare del tutto i tuoi ricordi!”
Sly
era riuscito a prendere le armi dei due tirapiedi che aveva freddato
qualche istante prima. Tre pistole ancora cariche e una sciabola!
Anche i due mostri che lo minacciavano furibondi caddero sotto il
piombo di Cornell. Rimaneva un solo proiettile e con quello Sly
centrò il Dottor Broomingham in pieno petto. Lo scienziato cadde a
terra.
Daniel
riuscì a convincere Josh a sciogliere i legacci che lo
imprigionavano, e una volta liberato il boscaiolo si alzò e slegò
Remington. I due fecero appena a tempo a gettarsi al riparo che Sly,
con una fumante torcia in mano, cominciò ad appiccare il fuoco. Poi,
con la spada, trafisse mortalmente il povero Josh, trapassandogli un
polmone.
“Ah!
Questi straordinari e tanto decantati super-soldati del Dottor
Broomingham!”, ironizzò Sly. “Non erano poi tanto super, visto
che cadono come mosche al primo colpo! Ah ah ah!”
12.
Il Dottor Broomingham si trasforma
Il
Dottor Broomingham, ormai morente, sente come in un incubo le risate
di Sly riguardo ai suoi esperimenti. Con le ultime forze, animato da
uno spirito di rivalsa, si iniettò nel braccio sinistro il siero con
la siringa che non aveva mai smesso di stringere nel pugno. Con
immenso dolore lo scienziato cominciò a trasformarsi; gli arti e il
petto gli si coprirono di peli e i muscoli gli stracciarono i
vestiti; la grave ferita al petto gli guarì come per incanto.
Mentre
il fuoco stava divampando Sly – ignaro di quello che lo aspettava -
si mise a cercare Remington e Daniel. Un momento prima di scovarli il
Dottor Broomingham gli fu alle spalle, trasformato in una specie di
gigantesco Wendigo, il demone silvano della mitologia indiana.
Broomingham afferrò Sly e con un'unica mossa gli spezzò la schiena.
Remington
e Daniel riuscirono a fuggire attraverso l’armadio e si chiusero
dietro il pesante portone dell’anticamera.
Mentre
i due stavano salendo le scale a tre gradini alla volta il mostro
iniziò a sfondare a mani nude il legno blindato giurando che li
avrebbe trovati, anche a costo di battere palmo a palmo l’intero
Nuovo Continente.
Remington
e Daniel uscirono dal lugubre sotterraneo e si allontanarono di
soppiatto dal forte in costruzione, protetti dall’incendio che si
stava rapidamente sviluppando. Fra gli uomini del Dottor Broomingham
regnava il panico.
13.
L'ultima battaglia del Dottor Broomingham
Il
rombo delle acque tumultuose del Rebel’s Creek riportò Remington
al presente.
“Ora
ricordo!”, pensò il Comandate guardando dalla base di una ripida
scarpata pietrosa che saliva dalla riva del torrente. “Fuggendo da
Fort King George ci eravamo presto accorti che – scartato il covo
inglese di Wendover - Fort Maple era più vicino di Timberton,
tagliando per la foresta. Tempo dopo, quando da ore eravamo già nel
folto della boscaglia, abbiamo sentito il mostro che una volta era
Broomingham gridare da lontano i nostri nomi! Abbiamo accelerato
l’andatura e poi siamo precipitati da lassù… Dev’essere stato
un bel ruzzolone e battendo la testa in quelle pietre siamo partiti
per il mondo dei sogni!” Remington svegliò Daniel, dicendogli che
occorreva continuare la marcia. Fort Maple non era lontano.
Passarono
le ore e quando il quartier generale era già a portata di mano, alla
fine di un sentiero battuto mille volte dai Falchi dell’Ontario,
dall'alto di una roccia arrivò potente una voce cavernosa.
“Congratulazioni,
Comandante Remington! Eri quasi riuscito a metterti in salvo con il
tuo protetto! Ma non avevi fatto i conti con i miei nuovi sensi,
sviluppati come quelli del Falco e del falco!”
I
due alzarono la testa sconcertati e scoprirono era stato il Dottor
Broomingham a parlare, imponente nella sua mostruosità. Con un
poderoso balzo l’essere piombò giù, bloccando il sentiero che
portava alla salvezza. Daniel, che ormai pensava di essere al sicuro,
impazzì dalla rabbia e si scagliò contro il mostro. La creatura gli
afferrò fulmineo la gola con una mano e lo tenne sospeso mezzo metro
da terra, ridendo. Poi, quando il boscaiolo esalò l'ultimo respiro,
Broomingham ne scagliò via il corpo. Il mostro si voltò allora
verso Remington, ma il Comandante era sparito.
“Per
Daniel e per l’America, dannato demone dell’Inferno!”
Le
terribili parole gridate a squarciagola fecero trasalire l’essere
gigantesco: Remington, reggendo fra le mani una pietra acuminata gli
si era lanciato addosso dalla stessa roccia sulla quale Broomingham
era apparso ai due amici in fuga. Grazie al peso del proprio corpo
Remington colpì a fondo il mostro, spaccandogli la testa. Un grido
disumano risuonò nella foresta.
A
Fort Maple Black ululò e abbaiò e i suoi guaiti non sembravano
smettere mai.
FINE
Personaggi
principali
Il
Comandante Remington,
che agisce sotto le mentite spoglie di Simon Sonner
Pat
“Big Bear” Remick,
l’oste dell’Oca Nera
Daniel
Buster, un
boscaiolo che viene rapito
Sly
Cornell,
caposquadra dei boscaioli e "contatto" dei rapitori
Il
Capitano Oswald Broomingham,
ufficiale delle Giubbe Rosse
Il
Dottor Nathaniel Broomingham,
lo scienziato folle creatore dei mostri, fratello di Oswald, al
servizio di Re Giorgio
Francesco Manetti