venerdì 9 maggio 2025

L'UOMO SULLA LUNA: UN RACCONTO DAL "DARK WEB"!

a cura di Francesco Manetti

Dopo alcuni anni di silenzio riattivo il mio vecchio blog "Ultimo Istante" per presentarvi un singolare racconto che ho trovato casualmente scorrazzando nel "dark web". L'originale è in inglese, ma io l'ho tradotto in italiano cercando di non "tradire" troppo l'autore. Un autore anonimo che sicuramente non mi farà causa per aver pubblicato senza il suo permesso questa storia che fluttuava libera in un angolo buio della Rete. Si tratta di una buona prova di fantascienza lunare, con un pizzico di... "particolarità storica" che potrebbe far pensare a un testo perduto di Norman Spinrad... Non vi dico altro. Buona lettura! (f.m.) 





L'UOMO SULLA LUNA


Berlino, 1° maggio 1945

Si fanno strada a fatica in un corridoio scarsamente illuminato. Gole sempre più secche, arse. L’aria quasi non c’è: al suo posto un’insidiosa nebbiolina grigia che rende difficile la respirazione. Polvere di cemento, che si alza dalle macerie della struttura sovrastante, in gran parte sotterranea. L’impianto di ventilazione continua a funzionare perché i potenti gruppi elettrogeni a benzina marciano ancora, ma ben presto si fermeranno e allora quella ruvida sfarinatura sarà come veleno per i polmoni. Meglio accelerare il passo. I due uomini potrebbero anche essere amici, ma non lo sono. Si conoscono però da anni, si stimano, tanto che si danno del tu e il più giovane chiama l’altro “Lupo”, soprannome che solo pochi sono autorizzati a usare.

Il passaggio termina come era iniziato all’estremità opposta, con un portellone blindato, simile a quelli che proteggono i caveau delle banche. La combinazione a dieci cifre va inserita senza errori al primo tentativo, altrimenti si bloccherà e i due non potranno più lasciare lo stretto disimpegno, condannandosi a morire asfissiati. “Lupo”, sudando freddo, osserva attento il suo sodale mentre armeggia al combinatore, senza alcuna esitazione – il codice segreto è il suo numero di matricola dell’esercito – e la paratia si apre.


Mare della Tranquillità, 20 luglio 1969

L’astronauta americano scende dalla scaletta del modulo Aquila, poggia un piede sulla scintillante polvere scura e diventa il primo uomo sulla Luna. Pronuncia senza enfasi poche parole di prammatica, decise sulla Terra giorni prima durante l’ultima riunione operativa, e si guarda intorno, voltandosi goffamente nell’ingombrante tuta. Compie qualche breve balzo, saggiando la scarsa forza di gravità del satellite naturale. E poi si arresta, come congelato. Qualcosa non torna. A una distanza di 50 metri c’è un... “oggetto” che non dovrebbe essere lì. Non è una roccia dalla forma bizzarra, e nemmeno un illusione ottica o un gioco di ombre e prospettive. È qualcosa di chiaramente artificiale. Sembra fatto in acciaio. Argentato e lucente. Impossibile capire che cosa esattamente sia, addirittura percepirne la forma esatta, perché è un’impresa metterlo a fuoco, nonostante l’assenza totale di atmosfera. Sembra di osservare una trasmissione televisiva molto disturbata da potenti scariche elettrostatiche. Un “effetto neve” continuo rovina la visione. Talvolta l’oggetto scompare, per una frazione di secondo, poi ritorna, sempre fuori fase, sempre impreciso. E si può anche vederci attraverso. L’astronauta ha un compagno a bordo della piccola astronave posata sul suolo della Luna e quando anche questo scende sulla superficie i due cominciano a scattare foto al misterioso manufatto.


Mare della Tranquillità, data imprecisata

Sotto la volta dell’installazione internazionale nota come Castadiva non c’era mai stata così tanta animazione. Un continuo via vai di professori, militari, inservienti, tecnici. Il nervosismo è palpabile.

«Dovrebbe dunque stabilizzarsi oggi?», chiede Hans al suo collega, il gigantesco Marcus. Non è una gran cosa essere come addetti alle pulizie, ma l’incarico è ben pagato e si ottengono anche ottimi punteggi sul curriculum dell’Astroforza. I due si occupano di lustrare i vetri della bolla centrale, il cuore della cupola di Castadiva, vetri spessi 100 mm che devono essere sempre tenuti al massimo grado di trasparenza per poter tenere in osservazione costante l’Oggetto. In realtà nessuno vedrà mai Hans e Marcus maneggiare direttamente spazzole e detergenti come semplici operai, altrimenti non avrebbero mai lasciato la Terra per lo spazio. I due giovani sono brillanti ingegneri elettronici, fra i migliori della loro generazione. Il loro compito sulla Luna è quello di controllare, guidare ed eventualmente riparare i droidi lavavetri che loro stessi hanno progettato. E non si occupano solo di quelli: tutta l’automazione “di servizio” della Cupola è di loro competenza. Luci, supporto vitale, nastri trasportatori, comunicazioni. Però gli altri scienziati – i medici, gli informatici, i fisici, i matematici – li guardano dall’alto in basso. Anche il mondo dei geni ha le sue caste.

«A quanto pare sì… secondo i calcoli la distorsione dell’Oggetto si sta ormai riducendo a zero. Saperlo mi è costato tre biglietti del cinema».

«Uhm… il cinema. Credo che quella di Castadiva sia l’ultima sala proiezioni esistente nel sistema solare, ormai, tenuta in piedi da nerd per altri nerd. Beh, adesso vedremo se ne valeva la pena… tutti quei miliardi e gli sforzi sovrumani spesi nei decenni dalle Nazioni Unite per montare questa baracca con un unico obiettivo, intendo dire».


Washington, La Casa Bianca, 10 febbraio 1970

«Ripeto che non è possibile! Grazie ai nostri agenti sappiamo che i Russi conservano i suoi resti carbonizzati in una scatola di metallo nei sotterranei della Lubjanka! Poco più che cenere e frammenti di ossa. Da un quarto di secolo! Capisci?»

Il Presidente è infuriato, rosso in volto, e sbatte con violenza sulla scrivania le foto che un alto ufficiale gli ha appena portato dal Pentagono. Il generale a quattro stelle al quale si rivolge fa una smorfia e un gesto con la mano destra, come per dire al suo interlocutore di calmarsi. I due sono in confidenza da anni.

«Capisco benissimo, Dick, non ci credevo nemmeno io, all’inizio. Ero sicuro che i comunisti avessero trovato il modo di menarci ancora una volta per il naso come a Cuba. Oggi fanno trucchi cinematografici impensabili fino a 5 anni fa. Guarda quel regista mezzo inglese col suo film! Ma ormai restano ben pochi dubbi. Sono mesi che lavoriamo sulle immagini dello scorso luglio, e poi su quelle che abbiamo fatto appositamente scattare a novembre, in aggiunta ad alcune riprese girate con le telecamere. Abbiamo coinvolto la CIA, tutti i migliori laboratori del Paese, civili e militari. Queste inquadrature sono state persino analizzate dai cervelloni di Groom Lake, che ne hanno viste di tutti i colori. L’identità dei personaggi che si affacciano ai finestrini dell’Oggetto pare accertata senza possibilità di errore».

«Doppiamente impossibile! Come fanno quei due… cadaveri a essere finiti sulla Luna, a bordo di… un qualcosa che non è nemmeno reale?»

«Per essere reale lo è, altrimenti non impressionerebbe le pellicole. Però, hai ragione, se intendevi dire che è intangibile. Corpi solidi, come hanno verificato gli astronauti a novembre, attraversano l’oggetto senza difficoltà apparente. E in parte lo fa anche la luce. Per questo ha un così basso grado di opacità. Sfrutteremo la missione di aprile per avvicinarci maggiormente all’Oggetto e tentare un approccio definitivo… più radicale».

«In che senso… radicale?»

«Gli astronauti dell’Apollo 13 porteranno sulla Luna un bel po’ di esplosivo. Il buon vecchio C4!»


Berlino, 2 maggio 1945

Nella camera cilindrica protetta dalla porta blindata regnano il buio e il silenzio assoluti. Fino a poche ore prima cavi elettrici mozzati sibilavano come serpenti e sprizzavano scintille. Tubi di gomma tagliati a metà gocciolavano ossigeno liquido e miscele oleose. Ma poi i generatori si sono spenti e tutto si è arrestato. Per sempre.


Mare della Tranquillità, 3 giugno 1973

Il rover si avvicina lentamente all’Oggetto. Gli astronauti che manovrano in coppia quella specie di scheletrica “dune buggy” ufficialmente non sono sulla Luna, e anche per i loro stessi familiari stanno severamente addestrandosi a Houston per una futura missione Skylab e non possono avere contatti con nessuno all’esterno. L’automobile lunare monta un potente magnetron e un’antenna parabolica per la guida d’onda: lo scopo è quello di emettere un fascio di microonde in grado di interferire con l’Oggetto ed eventualmente distruggerlo. Adesso i volti dei due passeggeri sono chiaramente riconoscibili attraverso gli oblò dell’Oggetto. Gli astronauti hanno un sussulto: stanno osservando l’incredibile. Il “rasoio” di Occam, le riflessioni di Sherlock Holmes sull’impossibile e l’improbabile sono andate entrambe a farsi benedire. Questa è realtà! Il magnetron viene attivato ma l’Oggetto sembra insensibile alle radiazioni e le respinge come uno specchio ustorio farebbe con i raggi solari. Gli astronauti cominciano a sussultare come marionette impazzite: le microonde fanno ribollire dall’interno i loro liquidi corporei finché dentro le tute ermetiche avviene una silenziosa esplosione. I visori dei caschi si macchiano di rosso. Il rover senza più alcuna guida prosegue e attraversa l’Oggetto, andando poi a schiantarsi contro una roccia. La segretissima missione Apollo 18 termina qui.


Sopra il Mare della Tranquillità, 11 aprile 2019

Beresheet, il modulo robotizzato senza equipaggio umano progettato e costruito in Israele, ha appena inquadrato dall’alto l’Oggetto. Nella sala controllo di Yehud un brivido di terrore scuote i tecnici aerospaziali dello stato ebraico, alcuni dei quali indossano la kippah e pregano. Il governo di Tel Aviv vuole tentare di distruggere l’Oggetto con un sistema che nessuna altra missione segreta NASA ed ESA ha mai finora provato. All’interno del Beresheet non ci sono soltanto estratti della Torah, il diario di un sopravvissuto ai campi di concentramento ed altri ricordi dall’alto valore simbolico, politico e religioso: nel cuore del modulo si cela la più avanzata bomba a impulso elettromagnetico che sia mai stata concepita. Lo scopo è quello di stabilizzare il veicolo e far morire per asfissia i suoi occupanti. Ma un guasto ai motori porta il lander lontano dal suo obiettivo e invece di compiere un atterraggio morbido nei pressi dell’Oggetto il Beresheet finisce in mille pezzi ad alcuni chilometri di distanza dall’obiettivo, distruggendo tutto il suo carico di storia, di misticismo e di scienza.



Roma, in uno scantinato dell’Esquilino, 20 luglio 2039

«Hai visto che roba, Luigi? Cosa volevano fare con Baffetto, riportarlo in vita?»

«Beh, a quanto pare non è mai morto, se è vero quanto c’è scritto in questa... enciclopedia di dati, carissimo Mario. L’idea era quella di far saltare in aria l’Oggetto, o qualcosa del genere, per annientare i suoi imbarazzanti passeggeri. Ci lavorano sopra dai tempi del primo allunaggio ma non sono mai riusciti a fare niente di concreto. Persino la storia dell’Apollo 13, come ce l’hanno raccontata in mille salse, anche al cinema, non è quella vera. Ci sono stati feriti, morti, disastri… migliaia di miliardi gettati al vento. Quasi che su quell’apparecchio pendesse una maledizione, come sulla tomba di Tutankhamon...»

«Beh, comunque sia, oggi ricorre l’anniversario del primo uomo sulla Luna e d’ora in poi ci saranno più persone a riflettere sul problema», e Mario preme “invio”.

Quello che per settanta anni era stato mantenuto segreto dai governi, dalle istituzioni militari e dalla comunità scientifica, e da chiunque altro a qualsiasi titolo fosse stato coinvolto nello studio e nell’eliminazione dell’Oggetto, divenne in un nanosecondo di pubblico dominio quando un gruppetto anarchico di giornalisti digitali della Città Capitolina, poco prima che la polizia facesse irruzione nel loro covo facendo saltare loro le cervella, riversò nella Rete tutte le informazioni disponibili sul caso dopo averle trovate in una banca dati nascosta, considerata “inespugnabile”. Fino a quel momento.


Parigi, Rue Mario Nikis, 1° maggio 2045

«Si sta stabilizzando!», grida il tecnico entrando di corsa nella sala riunioni della sede centrale ESA sventolando un cellulare acceso. Il direttore dell’agenzia spaziale europea balza in piedi per primo come proiettato da una molla. Gli altri subito lo imitano.

«Vuoi dire proprio in questo momento?»

«No, no… adesso, rispetto alle immagini scattate nel 1969 e negli anni successivi, abbiamo finalmente rilevato un lieve aumento del grado di opacità e una ancora più lieve diminuzione dei disturbi. Secondo i calcoli, se il processo non accelera, ma niente indica che avverrà, ci vorranno almeno altri 200 anni per avere l’Oggetto stabile e solido sulla Luna».

«Due secoli! All’epoca saranno già state costruite le basi lunari! Ci penseranno loro», dice il direttore, rimettendosi stancamente a sedere.


Mare della Tranquillità, data imprecisata

«Mi vuoi spiegare perché hai costretto anche me a indossare la tuta per le operazioni sulla superficie esterna, Marcus?».

Il gigantesco genio dei droidi di servizio, che nelle sue ricerche è sempre un passo avanti all’altrettanto geniale Hans, sta lavorando a un intrico di cavi, dopo aver scoperchiato un pannello vicino alla porta della camera stagna. Oltre quella soglia c’è la Bolla interna alla cupola, costruita tutta intorno all’Oggetto. Dentro la Bolla c’è il vuoto, esattamente come se quella piccola porzione di Mare della Tranquillità fosse ancora allo scoperto sulla superficie lunare.

«Il mio solito informatore, l’impenitente cinefilo, mi ha detto che i capi hanno l’intenzione di accogliere la stabilizzazione finale dell’Oggetto in condizioni di atmosfera zero. A loro interessa solo il veicolo. Vogliono studiarlo dopo essersi disfatti dei viaggiatori. Dunque sto pressurizzando la Bolla.»

«Sì, ma non hai risposto alla mia domanda sulle tute».

«Perché, nello stesso tempo, ho immesso nel circuito di aerazione della Cupola una buona quantità di protossido di azoto».

«Protossido… Intendi dire il gas esilarante, quello che usano in infermeria? Vuoi addormentare tutta la base! Una volta che si sveglieranno guarderanno le registrazioni e ci metteranno agli arresti, prima di rispedirci in catene sulla Terra!».

«Di questo non ti devi preoccupare perché ho programmato i nostri droidi per mettere temporaneamente fuori servizio le telecamere invece di lucidarne le lenti.»

«Che senso ha?»

«Non è quel singolo uomo, ma la Storia che vogliono mettere a tacere, e questo non posso accettarlo. E, a proposito, com’è il tuo tedesco, Hans?».


All’interno dell’Oggetto, data imprecisata

«Non funziona! Von Braun è un asso con i razzi ma ha miseramente fallito con il motore vril che avrebbe dovuto muovere questa… Come l’hanno chiamata i ricercatori dell’Ahnenerbe? Campana, sì. Questa Campana temo che diverrà la nostra tomba, mio fedele Martin.»

«Aspetta, Lupo! Ci siamo mossi! Guarda: adesso il panorama esterno è cambiato!»

«Vedo… ma non mi sembra la Cancelleria del 1936. Siamo in una sorta di… vasca per i pesci sferica! Siamo forse finiti in un acquario? No, aspetta! Si sta aprendo una porta… arriva gente! E non sembrano umani! Sembrano saltati fuori da una di quelle pellicole americane sui marziani! Mano alle Walther!»


Mare della Tranquillità, data imprecisata

Hans e Marcus entrano nella Bolla e si tolgono il casco perché dove sono adesso l’aria è perfettamente respirabile. Si dirigono verso l’Oggetto che ha una forma curiosa e potrebbe ricordare, anche per il suo aspetto di estrema solidità con le sue lastre di lucido acciaio imbullonato, il prototipo di un antico batiscafo. Il portellone della Campana si apre grazie a un comando idraulico e si sprigiona un vapore azzurrognolo. I due viaggiatori mettono il piede sul suolo lunare e puntano le armi.

«Benvenuti sulla Luna!», esordisce Hans, parlando in tedesco, la sua lingua madre, anche se sotto la Cupola non ha alcuna occasione per usarla. Intanto Marcus scatta foto ed esegue brevi riprese con il suo dispositivo portatile, una sottile lamina plastica iridescente che funziona da comunicatore, computer e terminale della Rete. Le testimonianze di quell’incontro avranno un valore storico inestimabile.

«Mi fa piacere che lei si esprima nella mia lingua, ma non mi prenda in giro, ragazzo!», sbotta “Lupo”. «Com’è possibile che siamo finiti sulla Luna? Ci ha presi per Giulio Verne? O per Giorgio Méliés?»

«No, credetemi, so benissimo chi siete! Immaginate forse di essere ancora a Berlino nel 1945?»

«In realtà speravamo di essere nel 1936… Come fa lei a sapere che siamo partiti da Berlino, e proprio in quell’anno?»

«Perché tutti i libri di storia dicono che nel maggio del 1945 siete morti.»

«Beh, a quanto pare la notizia della nostra morte era leggermente esagerata», commenta Martin.

«Certo, ma se non tornate subito nel luogo da dove siete venuti morirete oggi, sulla Luna, trecento anni dopo il vostro tempo», si inserisce Marcus, con timbro un po’ meccanico, parlando attraverso il traduttore simultaneo del suo portatile. Avrebbe preferito non usare quella voce così fredda, ma il tedesco lui non lo conosce, «Il vostro veicolo è rimasto fuori fase, incorporeo e instabile, per secoli, anche se per voi immagino che il viaggio sia stato istantaneo.»

«Esatto, ragazzo! Siamo appena partiti.»

«Stanno cercando di fermarvi e di farvi fuori una volta per tutte, da sempre: americani, russi, israeliani, indiani, cinesi, europei… Tutti quelli che sono riusciti a scendere sulla Luna hanno provato a bloccare questo apparecchio per poi togliervi di mezzo. Ancora adesso, per quello che avete fatto dal 1939 in poi, siete sul libro nero di tutte le nazioni!»

«Uhm… Capisco, ma, come lei avrà notato, visto che siamo sulla Luna nel futuro, e non in Germania nel passato, significa che questa dannata Campana è difettosa»

«Lei chiama questo veicolo... Campana? Vuole dire Die Glocke, la mitica arma miracolosa che avrebbe dovuto ribaltare le sorti del secondo conflitto mondiale? Esisteva, dunque, ed era una… macchina del tempo! Si è detto che fosse opera di Von Braun…»

«Sì, proprio Von Braun!»

«Quel furbacchione! Non ne ha mai fatto parola, né con quelli dell’Operazione Paperclip, né durante tutto il programma Apollo!»

«Lei sa molte cose su di noi. A quanto pare la storia e il mondo ci hanno condannati, ma non ci hanno dimenticati...», sospira “Lupo”.

«Ma… cosa sono l’Operazione Paperclip e il programma Apollo?», domanda Martin.


All’interno dell’Oggetto, data imprecisata

I quattro uomini sono adesso all’interno della Campana. Marcus osserva il rudimentale pannello dei comandi. Al pilota occorre solo selezionare una data manovrando semplici ingranaggi di quello che sembra una specie di calendario perpetuo e poi tirare una leva per azionare il marchingegno. Anche un bambino potrebbe usare questo veicolo!

«Immagino che sappiate che non basta una data per muoversi nel tempo. Occorre anche avere le esatte coordinate spaziali. La Terra si sposta insieme al Sole su distanze enormi in tempi rapidissimi...», sentenzia Marcus.

«Certo! Von Braun aveva previsto anche questo: la macchina calcola tutto in automatico grazie a una serie di circuiti elettrici in serie che sono posti sotto i controlli di viaggio.», risponde Martin.

«Il guasto deve essere lì, nell’impianto di questa specie di rudimentale computer elettrico… che funziona grazie a un semplice motore a combustione interna, se non sbaglio. Questo tanfo pazzesco che si sente qua dentro dovrebbe essere benzina! Ma come fa il vostro apparecchio a muoversi nel tempo? Von Braun aveva anche trovato il modo di imbrigliare i tachioni? O si tratta di gravitoni?»

«Tachioni? Gravitoni? Non ho la minima idea di cosa siano, ragazzo! E a quanto pare non sapete ogni cosa di noi, dopotutto… No, la Campana funziona grazie al vril, una forma di energia mistica che abbiamo scoperto in Tibet nel 1938, grazie a una spedizione dell’Ahnenerbe, volta alla ricerca delle nostre più antiche origini!», si vanta “Lupo”.

«Die Glocke, il vril, l’Ahnenerbe… accidenti! Siamo finiti in un libro di Pauwels e Bergier!»

«E chi sono, altre particelle elementari?», chiede sottovoce Hans.

La domanda rimane senza risposta. Dallo zaino che portava in spalla Marcus estrae una piccola sfera argentata e la fa aderire magneticamente sulla plancia metallica della Campana.

«Cosa stai facendo, ragazzo?», chiede “Lupo”.

«Vi sto salvando. E magari sarebbe anche il momento di abbassare le pistole, per favore. Begli esemplari, ma preferisco ammirarli in un museo piuttosto che vedermeli puntati contro».

Dalla sfera lucente escono migliaia di sottili filamenti che si insinuano in ogni minima fessura della plancia.

«Non rimuovete nella maniera più assoluta questo apparato dal pannello dei comandi. Impostate la data che desiderate e lei correggerà gli errori di calcolo delle coordinate spazio-temporali durante il vostro viaggio di ritorno».

«Venite con noi», dice “Lupo”. «Le vostre conoscenze scientifiche e la vostra esperienza degli anni a venire ci sarebbero utili per il nostro Progetto. Non verranno commessi di nuovo gli stessi errori che abbiamo fatto dopo il 1940!».

«Non se ne parla, grazie. E anche Hans la pensa così, vero?». Hans annuisce.


Mare della Tranquillità, data imprecisata

Marcus e Hans escono dalla Campana e osservano chiudersi il portello dell’incredibile apparecchiatura venuta dal passato. Agli oblò si affacciano i due stessi volti che per trecento anni avevano inquietato l’intera umanità.

«Abbiamo fatto la cosa giusta, Marcus? Quei due, tra poco, inizieranno a cambiare il corso della storia! E chissà quali saranno gli effetti».

«Avranno un’altra opportunità. Ma a noi non succederà niente perché tornando indietro creeranno una nuova linea temporale assolutamente diversa da quella in cui stiamo vivendo noi».

Una vibrazione scuote il suolo lunare della Bolla. La campana perde coerenza per un attimo, emette un campo di energia di colore verde che avvolge per un decimo di secondo i due giovani e scompare.

«Sarà meglio rimettersi il casco, Marcus! Svelto!»

«Ma perché? L’aria sarà ancora perfettamente respirabile fino quando non torneremo nella Cupola e ripristineremo lo stato di atmosfera zero.»

«Fai come ti dico! Non vedi? La Bolla sta andando fuori fase esattamente come la Campana fino a ieri!»


Mare della Tranquillità, un altro tempo

Marcus fa appena in tempo ad agganciare il casco che la Bolla e tutta la Cupola svaniscono come se non fossero mai esistite.

«Cosa diavolo è successo?», grida Marcus.

«A me lo chiedi? Sei tu il genio della situazione: dovresti saperlo tu!»

Per un attimo piomba sui due un silenzio di tomba.

«Ma certo! Siamo stati… No, sono stato un’idiota! Quando la Campana è partita ha emesso un campo di energia che ci ha per un po’ trascinati insieme a lei!»

«Come… trascinati? Allora perché non siamo a Berlino nel XX secolo?»

«Perché eravamo fuori dal veicolo. Abbiamo subito un effetto ridotto del vril… comunque diavolo funzioni!»

«Chissà dove… anzi, quando siamo… È sparito tutto!»

«Non tutto. Guarda laggiù!»

A 50 metri di distanza dal punto in cui si trovava la Bolla luccica qualcosa. Una familiare struttura metallica.

«È il LEM dell’Apollo 11! Prima era conservato sotto la Cupola, in una sala museo che gli era stata costruita intorno. Ci siamo stati mille volte anche noi a visitarlo. C’è anche la famosa targa firmata dai tre astronauti e da Nixon»

In pochi balzi i due raggiungono il sito del primo allunaggio. E vedono.

«Ecco fatto! Lo sapevo!», grida Hans nell’intercom, facendo fischiare le orecchie di Marcus. «Fra poche ore finirà l’ossigeno delle tute e moriremo qui, soli come cani, i due più grandi criminali della storia!»

Una voce in tedesco risuona all’improvviso nei caschi di Hans e Marcus.

«Non siete criminali, ragazzi! Siete i nostri più grandi eroi! Bentornati dal vostro lunghissimo viaggio nel tempo, esattamente nel bicentenario dell’allunaggio! Qui Haunebu 1889: veniamo a recuperarvi. Berlino vi aspetta per i festeggiamenti!»

Una navicella spaziale dalla forma circolare scende giù ad alta velocità dal cielo nero come la pece e atterra silenziosamente sul suolo polveroso della Luna. Sulla superficie del veicolo è apposto l’antico emblema della Germania Nazionalsocialista, la bandiera rossa con il cerchio bianco e la svastica nera al centro. Un portello si apre e due figure che indossano tute spaziali di foggia militare escono e si dirigono verso Hans e Marcus imbracciando quelli che sembrano fucili a raggi.

All’ombra del modulo lunare, prima di essere scortati sul disco volante, i due si voltano e leggono ancora una volta la targa commemorativa, scritta in tedesco:


QUI UOMINI DEL PIANETA TERRA MISERO PER LA PRIMA VOLTA PIEDE SULLA LUNA – LUGLIO 1969 A.D. – VENIAMO IN PACE PER TUTTA L’UMANITÀ – MARTIN BORMANN, CANCELLIERE DEL REICH – ADOLF HITLER, PRESIDENTE DEL REICH


Fine




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Francesco Manetti